L’intera opera cinematografica di Stanley Kubrick è costellata di elementi architettonici fondamentali per la struttura di ogni film che assume a sua volta caratteristiche compositive di carattere architettonico. Gli elementi architettonici definiscono lo spazio scandendo e modificando anche il tempo e la struttura compositiva dei film stessi: la porta, il corridoio, il labirinto, la stanza da bagno, il salone, la scala, la finestra-fessura…
La simmetria, la maglia ortogonale, la circolarità, il doppio (riflesso e opposto), il labirinto, le forme geometriche semplici sempre si ripetono in inquadrature, sequenze e spazi di ogni film.
I colori più significativi che incontriamo costantemente nei film di Kubrick sono il blu e il rosso: il blu denota un’atmosfera di mistero, di sospensione e attesa inquietante. Il rosso avvisa che siamo in una situazione di pericolo, di tragedia annunciata.
In Eyes Wide Shut sono il leit-motiv di tutto il film: il rosso caldo degli interni e il blu freddo che traspare dalle finestre, dalla città.

In Mon Oncle e in Playtime di Jacques Tati l’ambiente grigio e smunto di sfondo delle case e della città moderna è segnato da elementi colorati a contrasto.
La cifra innovativa introdotta da Michelangelo Antonioni ne Il deserto rosso è costituita dalla sperimentazione cromatica: l’uso del colore applicato artigianalmente a mano ad architetture, interni, macchinari, porzioni del paesaggio naturale, provoca uno spaesamento determinato da immagini metafisiche che raggiungono l’astrazione.
Ne Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders quando l’angelo/Bruno Ganz diventa umano prova per la prima volta dolore, vede e sente il gusto del sangue, percepisce i colori…
Il racconto e i temi trattati da Wenders in Paris, Texas o in Non bussare alla mia porta restituiscono la configurazione del paesaggio e delle metropoli statunitensi. Una serie di classici nonluoghi trasmettono in maniera pervasiva squallore, solitudine, incomunicabilità e assenza di relazioni umane tradotti da colori acidi, forti, luci al neon invasive.
Periferia, paesaggio, territorio americani e colori sono restituiti da Wenders, Lynch, Mendes, Jarmusch all’ombra di Edward Hopper. Wim Wenders è il regista che più ha citato Hopper nei suoi film “americani”.
Jim Jarmusch è considerato il regista “hopperiano per eccellenza”, che ha reinterpretato sia gli spazi interni che gli esterni del pittore.
In American Beauty Sam Mendes è affascinato dalla lettura del paesaggio mitico americano di Wenders e propone la finta armonia che nasconde drammatiche solitudini nelle archetipiche periferie americane.

Lo sprawl urbano e suburbano statunitense condensato nell’inquietante micro villaggio nel quale Tim Burton ambienta la tragica favola Edward mani di forbice è costituito da un gruppo di case unifamiliari tra loro incredibilmente simili contraddistinte da una gamma di colori pastello.
In Rusty il selvaggio (Rumble Fish) di Francis Ford Coppola, alla serie di elementi simbolici e inquietanti restituiti dal film in bianco e nero si aggiungono speciali e metaforici pesci in acquario, unici elementi colorati.
Le sole sequenze a colori in Cesare deve morire dei fratelli Taviani sono quelle dello spettacolo finalmente messo in scena dai carcerati, all’inizio e al termine del film secondo una composizione circolare; quando ritornano alle celle e durante tutto il film ritornano ad essere in bianco e nero.
Godfrey Reggio in Koyaanisqatsi: Life Out of Balance, realizza un film senza commento di 83 minuti costituito da sole immagini e dalla ipnotica colonna sonora minimalista composta da Philip Glass. La continua alternanza di immagini a contrasto accelera progressivamente e la velocità trasforma le immagini in fasce e macchie multicolori completamente astratte.
I film di Wes Anderson costituiscono un crescendo di abilità compositiva e tecnico-visiva in cui traduce il suo affascinante mondo interiore in racconti la cui narrazione spiazza continuamente lo spettatore. La color palette del regista è assai complessa definita da accostamenti di colori primari, complementari, secondari e terziari con tonalità a contrasto o uniformi a seconda del momento filmico.
Nei film e soprattutto in Faust di Aleksandr Sokurov gli elementi fondamentali sono luce e colore – caldi, freddi, il buio contrapposto a sovraesposizioni o aloni luminescenti… – che contribuiscono alla deformazione dello spazio e alla restituzione di colori dell’animo umano.