Il 13 aprile 2025 si è conclusa alla Triennale di Milano la mostra Franco Raggi. Pensieri instabili, a cura di Marco Sammicheli e Francesca Pellicciari. Una mostra, inserita all’interno del percorso del Museo del Design Italiano, che ci ha consentito di riscoprire il pensiero e l’opera di un importante architetto, designer e intellettuale italiano nato a Milano nel 1945, che per diversi anni ha partecipato alle attività dei gruppi del Radical Design: Franco Raggi.
Vista della mostra, foto di Delfino Sisto Legnani – DSL Studio ©Triennale Milano.
L’esposizione, piccola ma densa, era pensata come un luogo di sperimentazione, strutturata con una successione di filtri scenografici che ci davano la sensazione di entrare “fisicamente” nel mondo immaginifico dell’architetto milanese. Il primo di questi filtri era l’installazione di Franco Raggi Muraglie Mobili, una mezza roulotte appoggiata ad un muro in mattoni rossi, superata la quale lo spettatore accedeva ad un secondo filtro. Una Tenda blu, ideata da Piovenefabi che secondo gli autori costituiva “un momento dilatato in cui sviluppare una relazione esclusiva, in scala 1:1 con l’opera non lineare di Franco Raggi.”1 Uno scrigno di tela blu che racchiudeva oggetti, fotografie, disegni, dipinti, immagini di allestimenti, happening, mostre ed un video realizzato per l’occasione da Francesca Molteni, in cui Raggi si racconta in prima persona. Particolare attenzione era rivolta ai tanti momenti in cui Franco Raggi è entrato in contatto con Triennale Milano, come sua partecipazione alla 15ª edizione dell’Esposizione Internazionale del 1973, e alle varie mostre che ha curato tra 1973 e il 1985.
Vista della mostra, foto di Delfino Sisto Legnani – DSL Studio ©Triennale Milano.
Ad accompagnare la mostra, un catalogo ricco di immagini e testi, che rappresenta un importante approfondimento della mostra stessa e del lavoro dell’architetto milanese. Il volume, scritto in italiano e inglese, è edito da Electa e curato nei dettagli da Marco Sammicheli e Francesca Pellicciari che insieme a Stefano Boeri introducono il catalogo. A seguire la parte introduttiva troviamo tre sezioni che dividono il volume.
La prima parte è caratterizzata dai saggi critici di Ambra Fabi e Giovanni Piovene, Emanuele Quinz, Barbara Radice, Léa-Catherine Szacka, Davide Trabucco, che ci permettono di esplorare con attenzione il racconto delle diverse anime di Franco Raggi, in particolare quella dell’architetto con progetti e fotografie dedicate alle sue case e architetture d’interni, e quella di superbo disegnatore e artista con dipinti, disegni ed alcune copertine di “Casabella” e “MODO”, raccontando in tal modo molte delle sue sperimentazioni grafiche. Non dobbiamo dimenticare l’importanza del sui lavori grafici che vede alcune sue opere poste all’interno delle collezioni permanenti del MoMA, Centre Pompidou, FRAC/Orléans, Triennale di Milano e Museo della ceramica di Savona.
La Tenda rossa dell’architettura, tessuti dipinti e cuciti a mano, 1975. Courtesy FRAC Centre-Val de Loire Collection, Orléans.
La seconda parte è quella dov’è stata posta maggiore attenzione: quella del designer, con foto e disegni dei progetti di alcuni dei suoi oggetti più significativi come lampade, sedute e complementi d’arredo che nei suoi lunghi anni di attività ha disegnato e realizzato per le maggiori aziende italiane di design e che pone Franco Raggi come uno dei protagonisti dell’epopea del Design Radicale. Basti pensare alle poltrone per Cappellini Elba Chair, 1983, e ai divani Linate, 1985; alle lampade Velo, 1988-89, Flûte, 1999, e Drum, 2005, per FontanaArte; ed agli altri oggetti progettati per Poltronova, Italtel Telematica, Kartell, Candle, Danese e Artemide.
La terza parte è dedicata ad una antologia di editoriali scritti per “Casabella” e “MODO”, per le quali ha ricoperto rispettivamente le cariche di redattore e caporedattore. In particolare possiamo trovare gli editoriali e i testi Templi e Roulottes pubblicati per “Casabella” tra il 1973 ed il 1976 e i venti editoriali della rivista “MODO” scritti tra il 1981 ed il 1983, insieme ai testi teorici Elogio del Banale (1980), Radical Vision (2010), e Banale dopo il Banale (2023).
Tempio Roulotte, disegno a china e matita su cartoncino, 1974. Courtesy Archivio Franco Raggi.
Quello che si evince da questo catalogo è l’attenzione e la curiosità di Franco Raggi, verso ogni elemento distintivo e caratterizzante di una ricerca architettonica, iniziata negli anni Settanta ed ancora viva, figlia di uno spirito e di un pensiero instabile. È al suo interno che l’architettura si trasforma in “un’isola felice”, in un luogo sorprendente di sperimentazione di linguaggi, complice di una tagliente ironia, accompagnata da interpretazioni dirompenti e trasgressive che trovano, proprio nell’instabilità, una condizione progettuale per una possibile chiave di lettura del mondo architettonico contemporaneo. Come ci mette in evidenza Stefano Boeri nel sul testo introduttivo, l’instabilità in Raggi “si traduce in una continua messa in discussione di paradigmi, approcci, persino del proprio operato. Questa condizione è un tratto caratterizzante tutto il lavoro di Franco Raggi”, che lo rendono una delle figure più interessanti del panorama architettonico italiano. Un architetto ottantenne animato ancora da “una inesauribile curiosità e con la capacità di generare visioni, opere e riflessioni critiche sempre in grado di interpretare lo spirito del tempo e di anticiparlo.”2
Ingresso alla mostra Le case della Triennale, ordinamento e allestimento di Franco Raggi e Francesco Trabucco, grafica Italo Lupi, 1983. Triennale Milano – Archivi. Foto Miro Zagnoli.
Uno spirito, quello contemporaneo, oggi sempre più difficile da decifrare, che ci mette continuamente alla prova portandoci spesso a facili interpretazioni. Troppo spesso assistiamo ad operazioni all’interno delle quali l’architettura è messa a parte, sostituita da “superficiali” operazioni formali che la soffocano. Ma non è questa la strada giusta. Bisogna aver fede nell’architettura, ieri come oggi. Per questo, forse più attuali che mai, appaiono rassicuranti le parole che Raggi scrisse nel suo editoriale per “Casabella” del 1973. “In questo inverno delle idee che ci circonda bisogna fare uscire dalle tane tutti i bigotti che si nascondono dietro l’etichetta del ‘mestiere’ per continuare a non pensare, a non vedere; non è solo questione di impegno politico, ma anche esistenziale. Io ho fede, credo nell’architettura, credo sia la cosa più importante, ma non è già pronta sulle riviste per essere copiata; essa è nel mondo, fra le cose dove di regola non la cerchiamo.”3
La Classica, 1976. Foto Gianluca Di Ioia – Triennale Milano.
D’altronde in una società contemporanea come la nostra – votata all’incessante novità, che ripudia il passare del tempo, ed è concertata unicamente nel presente – praticare l’inattualità, praticare l’ossimoro, praticare la dissoluzione della materia disposta nello spazio in frammenti instabili e mobili, potrebbe diventare l’unico pensiero radicale possibile. È proprio sotto quest’ottica che possiamo leggere il lavoro più celebre di Franco Raggi, la Tenda Rossa (1974). Un’opera che accoglie dentro di sé “molte delle istanze che caratterizzano tutta la produzione dell’architetto e, come ogni elemento afferente il classico, essa è portatrice più di significati futuri che di reminiscenze passiste.”4 In essa l’architettura si è dissolta in un linguaggio ironico, in accostamenti “scandalosi” che la rendono uno strumento poetico al servizio della relatività dei linguaggi e dell’abitare nomade dell’uomo contemporaneo. Un’architettura instabile, sempre in movimento, sempre libera di mutare la sua condizione e il cui rapporto con il luogo, sempre temporanea e performativa. Una Tenda Rossa figlia di un pensiero iconico che pone in relazione la potenza linguistica del tempio greco e il fragile ed “instabile” spazio di una tenda, di una stanza racchiusa all’interno di un tessuto rosso fuoco. Questo lavoro ci racconta quindi, a mio avviso, di un equilibrio semantico tra il linguaggio architettonico e l’essenza stessa dell’architettura che pone nella stanza il suo nucleo primordiale. L’architettura prima di costruire edifici, costruisce stanze: stanze di un pensiero denso, dimore e ricettacoli di un luogo che vuol racchiudere una profonda gioia di vivere. Per questo non possiamo pensare all’architettura come una disciplina chiusa in sé stessa, legata all’etichetta del “mestiere”, ma l’architettura è soprattutto, come Raggi stesso afferma “forma di pensiero, di conoscenza, fa parte del crogiuolo della cultura.”5 Con il suo lavoro Raggi si pone quindi tra i grandi architetti che ci invitano a rileggere e ripensare l’architettura con un pensiero radicale all’interno del quale, tramite le armi dell’ironia e del paradosso poetico, possiamo costruire non solo il presente dell’architettura, ma anche il suo futuro.
OZ da terra, schizzi di studio, 1980. Foto Gianluca Di Ioia – Triennale Milano.
A tal proposito mi viene in mente un suo testo pubblicato nel 1978 all’intero del quale scrive: “mi ha affascinato la concezione dell’architettura come forma di pensiero assoluta, come realtà cristallina, mi sono convinto che è inutile fornire dei modelli formali, ragionare per modelli, costruire per modelli se prima o contemporaneamente non si mettono in discussione i modelli mentali e culturali che sono dentro di noi come modelli di comportamento che accettano la convenzione delle conoscenze per non perdere la tranquillità (…) Se il linguaggio è una tra le tante convenzioni, applicando il paradosso, l’ironia, la sovrapposizione e l’incastro tra elementi convenzionali (riconosciuti) e corpi estranei (barche aerei treni roulottes tende ecc…), accentuo il carattere relativo alle norme. Ognuno ha le sue ossessioni e ogni linguaggio può esprimerle. Personalmente preferisco l’ambiguità (…) mi interessa la sovrapposizione concettuale e fisica tra l’utile e l’inutile, lo stabile e il nomade, il duro e il molle, la norma e la sua violazione.”6
L’importanza di rileggere il lavoro di Franco Raggi, e le sue visioni architettoniche si concentra quindi nel recuperare l’importanza del progetto e del ruolo dell’architettura dell’elaborazione della città e dello spazio urbano.
Scongiuri, Autoproduzione FR, 1998. Foto Gianluca Di Ioia – Triennale Milano.
Note
1. Ambra Fabi e Giovanni Piovene, La tenda blu, in Franco Raggi. Pensieri instabili / Unstable thoughts, a cura di F. Pelliciari e M. Sammicheli, Electa, Milano, 2025, pag. 154.
2. Stefano Boeri, in Franco Raggi. Pensieri instabili / Unstable thoughts, a cura di F. Pelliciari e M. Sammicheli, Electa, Milano, 2025, pag. 2.
3. F. Raggi, Quante volte figliuolo, “Casabella”, 375, marzo 1973, in Franco Raggi. Pensieri instabili / Unstable thoughts, a cura di F. Pelliciari e M. Sammicheli, Electa, Milano, 2025, pag. 159.
4. Davide Trabucco, Ironico e nomade, in Franco Raggi. Pensieri instabili / Unstable thoughts, a cura di F. Pelliciari e M. Sammicheli, Electa, Milano, 2025, pag. 68.
5. F. Raggi, op. cit., pag. 159.
6. F. Raggi, Tutti nascono architetti solo pochi lo diventano, in Topologia e Morfogenesi, a cura di L. Vinca Masini, ed. La Biennale di Venezia, 1978.