Palladio esplora linguaggi e codici nuovi nel campo cinematografico. Francesco Invernizzi, il produttore, ha messo a disposizione di questa scommessa un’infrastruttura degna di un lungometraggio.
Centinaia di ore di girato e una sfida rischiosa per tutti. Un film che è stato, su tutta la linea, un vero successo. Dal punto di vista commerciale, artistico, scientifico, didattico, ideologico. Ma soprattutto, Palladio è stato un evento anomalo nella storia dell’architettura. Sì, proprio così, nella storia dell’architettura. Perché è, forse, probabilmente il primo film documentario non solo d’architettura, ma di teoria e storia dell’architettura (e del territorio/paesaggio), ad essere stato proiettato nel grande schermo, fuori dai festival specializzati, fuori dai circuiti dei cinema d’essai, e, per giunta, a livello di un intero paese.…, in oltre 400 sale! E, fin qui, il dato è già sorprendente. Ma è davvero storico, il fatto che sia stato, nei soli tre giorni di proiezione, 20-21-22 maggio 2019, lunedì-martedì-mercoledì, considerati i più difficili, il quinto film nei botteghini a livello italiano, superando The Avengers, arrivando appena dietro… Pokemon. Un dato che ha iperbolicamente sorpreso – per usare un pleonasmo – i miei colleghi e amici tra Bruxelles, NY, Londra e Bucarest.… Un successo difficilmente ottenibile in altri paesi –, come mi hanno fatto notare questi stessi amici –, in altri paesi, anche in città cosmopolite, colte e cinefili come Parigi. In nessun paese – ma spero che il successo all’estero mi contraddica – un documentario su un architetto tutto sommato non così noto al grande pubblico, avrebbe riempito intere sale, obbligando molti cinema a spostare la proiezione in sale più capienti; creato file in biglietteria (come a Udine), facendo molti tutto-esaurito. Così è successo qui, dall’Alto Adige alla Calabria, dalle grandi metropoli italiane ai piccoli centri della cosiddetta provincia. Nei giorni di proiezione sono andato, in incognito, in una piccola sala di Milano, nel pomeriggio. E, come altri osservatori della squadra, notavo con stupore il carattere non specializzato del pubblico (sciurette, giovani, studenti, ecc.). Ma ciò che ha reso questa esperienza un successo personale, sono state le reazioni, commenti e critiche (intelligentissime) di anonimi, da Facebook a Instagram, perfino in quella piccola sala di parrocchia e in quel cinema (sì, mi hanno sgamato: sono stato “pizzicato” all’uscita).
Commenti – spesso commossi – di una popolazione che con l’architettura non centrava in alcun modo, aveva, ha, all’apparenza, nulla a che vedere.

Villa Saraceno (1548-55). Photo: Gregorio Carboni Maestri.

Sin dall’inizio la nostra paura è stata che le troppe linee narrative, i troppi temi, i troppi strati di questioni complesse affrontate nel film (il discorso che Peter Eisenman fa, nel suo ufficio, sull’epistemologia, varrebbe, di per sé, un intero film e… una tesi), rendessero il tutto insostenibile per il grande pubblico. Ma dal primo giorno di lavoro, la mia intenzione è stata di tenere l’asticella dei contenuti, del linguaggio, degli intervistati scelti, la più alta possibile. Che questo fosse un film di nicchia, sì, di pedagogia e diffusione culturale, sì, con temi di livello universitario, sì, ma sempre pensato anche e soprattutto per le “masse”. Non doveva essere un classico documentario alla “BBC”, né una “parruccata” con ricostruzioni storiche su Palladio (nascita, vita, morte, opere, un po’ di contesto), ma occasione per parlare del Cinquecento, del senso ideologico dell’architettura, della continuità dei temi architettonici, della necessità della storia nella formazione e comprensione del presente, del carattere collettivo e politico di ogni edificio, dell’importanza della pedagogia, ecc.

Villa Saraceno (1548-55) e gli annessi non palladiani. Photo: Gregorio Carboni Maestri.

La decostruzione di tali temi complessi iniziò da subito con questo bellissimo gruppo di autori, produttori e documentaristi, essendo io l’unico architetto. Un lavoro di pedagogia interna per produrre storiografia per il collettivo. Dovendo chiarire in modo chiaro temi di solito destinati a teorici e storici: a me stesso prima di tutto, agli altri autori, al regista e al produttore in un secondo momento. Più i temi e le linee narrative si amalgamavano in modo raffinato, più era chiaro, per me, che questo film doveva essere, anche, la dimostrazione che l’immagine che si ha del nostro paese (fatto di una popolazione sostanzialmente ignorante, in decadenza) non corrispondesse alla realtà. Certezza che ho, malgrado l’evidente decadimento che viviamo dagli anni 90. Forse, sarebbe ora che gli storici, i docenti, gli architetti, affrontassero la questione della diffusione dell’architettura, dei suoi temi, della pedagogia collettiva sulle scienze del costruito, della volgarizzazione di contenuti alti, in modo più attivo, più fiducioso, più deciso. Non vi sarà futuro migliore, per le nostre città e territori, se la popolazione non sarà alfabetizzata, ad altissimo livello, e con il rispetto che merita, verso ciò che gli appartiene: il paesaggio costruito collettivo. Questo lo dovrebbero capire anche i dirigenti della televisione statale, che all’architettura, a parte qualche “Philippe Daverio” o “Quark”, qualche servizio su questo o quel nuovo progetto o restauro, dedicano poco o nessuna attenzione. Per questi, e per altri motivi – tra cui la semplice bellezza di questo film così unico –, penso che il DVD di Palladio, ora in uscita in tutte le librerie del paese, vada comprato o noleggiato. Perché sì, è la testimonianza, un vero piccolo e modesto pezzo di storia dell’architettura e del cinema: quando Palladio sconfisse The Avengers.

Uno studente dell’Università della Virginia (arch. Thomas Jefferson). Photo: Gregorio Carboni Maestri.

Il film inizia ora la sua traiettoria internazionale, con, lunedì 7 ottobre, la presentazione al pubblico belga presso l’auditorium K dell’Université libre de Bruxelles. E speriamo sia solo l’inizio.

Si ringrazia Daniele Pievani.