Sta per essere inaugurata, a Ravenna, sua città natale, un’esposizione dedicata all’opera pittorica di Enrico Galassi (1907-1980), centrata sulla sua produzione più importante e originale, quella degli anni Trenta. Curata da Alberto Giorgio Cassani, la rassegna – quarta del ciclo Novecento rivelato, realizzato a cura del Comune di Ravenna – Assessorato alla Cultura e dell’associazione culturale “Tessere del ’900” – presenta al pubblico una trentina di opere dell’artista ravennate, insieme ad alcuni quadri di Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis e Alberto Savinio, tra i suoi maggiori estimatori, amici e pittori dell’epoca.

Enrico Galassi, I giardini. Tirassegno, 1936, collezione privata.

Si tratta anche della prima mostra istituzionale che Ravenna dedica al suo illustre concittadino, “amico geniale” (chiamato così da Savinio) e “artista fuorilegge” (locuzione coniata da Libero De Libero).
Galassi, artista a tutto campo, definito, sempre da Savinio, come “pittore fra i più intelligentemente moderni, architetto genialissimo che crea la casa dell’uomo dalle sue necessità interne, costruttore di macchine, inventore, uomo leonardesco”, infatti, si era formato in decorazione, mosaico e architettura alla cittadina Accademia di Belle Arti.

Enrico Galassi, Le ballerine, 1933, collezione privata.

Dopo un periodo dedicato al viaggiare (Parigi, Nord Africa, sud della Spagna), debutta, nel 1931, alla Galleria del Milione di Milano. La sua prima esposizione personale riscuote un grande successo: infatti, ne seguono altre presso alcune prestigiose gallerie nazionali e alla II Quadriennale di Roma (1935). Quando il suo percorso artistico sembra già ben delineato verso una carriera pittorica di successo, Galassi decide di cambiare dedicandosi all’architettura. Le prime opere costruite – la sua casa-studio “I Ronchi” (1934) e una casa di vacanze per Alberto Savinio (1936-38), entrambe situate in località Poveromo, nei pressi di Forte dei Marmi – convincono e piacciono ai critici, tanto è vero che “I Ronchi” viene pubblicata e recensita positivamente sulle pagine di “Domus” dallo stesso Gio Ponti, che descrive, tra l’altro, Galassi come uno di quegli “architetti improvvisati” dalla cui opera, quando “è libera da pregiudizi, da vanità stilistiche e sociali, gli architetti di professione hanno sempre qualcosa da imparare”.

Enrico Galassi, Le isole Felici. Capri, 1934, collezione privata.

Dopodiché, agli inizi degli anni Quaranta, Galassi fonda lo Studio di mosaico, in via Margutta 48 a Roma, dove, coadiuvato da un gruppo di giovani collaboratori, riuscirà a dare un impulso novecentista alla difficile arte del mosaico.
Nel 1944, Galassi si improvvisa imprenditore d’arte, facendo realizzare da valenti artigiani i cartoni e i progetti dei più importanti artisti dell’epoca. All’inizio gli oggetti prodotti, mediante marmi e pietre dure, verranno esposti presso alcune prestigiose gallerie e persino nei principali musei americani (dal 1950 al 1953), ma poi lo Studio dovrà chiudere a causa della mancate vendite delle opere. Ciò segnerà la vita di Galassi che progressivamente comincia a ritirarsi dalla scena artistica.

Enrico Galassi, La fruttiera, 1932, collezione privata.

Le poche successive esposizioni dedicate alla sua opera pittorica lo inseriscono nella categoria di “pittori dimenticati” e così questa mostra di Ravenna cerca, invece, anche se per certi versi tardivamente, una “riabilitazione” di Galassi, facendo scoprire al grande pubblico una delle figure artistiche più originali del Novecento italiano.
Alberto Sartoris, in un articolo del 1938, ne parla come di un “animatore dell’alchimia metafisica”, i cui “dialoghi platonici” hanno come oggetto “marine, isole, strumenti musicali, pesci, conchiglie, vasi, uccelli, fiori, piante, frutta, bottiglie, ballerine, colonne, cigni, statue, figure e cose soprannaturali”. Infatti, ci piace immaginarlo un po’ così, ribelle e immerso in un mondo popolato da cose animate e misteriose, che, non a caso, affascinano e colpiscono ancora.

Enrico Galassi, I giardini. Muri di Capri, 1932.