Una Biennale non perfetta, sicuramente molto densa ma ricca di spunti, analogici e digitali, questa dell’ingegnere architetto Carlo Ratti, primo italiano a tornare a dirigere e curare la manifestazione dopo ben 25 anni (l’ultimo era stato, nel 2000, Massimiliano Fuksas con “Less Aesthetics, More Ethics”). Una mostra che di-mostra quanto sia finito il tempo delle speculazioni e delle domande: e quanto, invece, sia giunto il tempo delle risposte operative, il risultato del lavoro collettivo di differenti intelligenze, architetti e ingegneri, matematici e scienziati del clima, filosofi e artisti, cuochi e programmatori, scrittori e intagliatori, agricoltori e stilisti, e molti altri.
Foto: Andrea Avezzù / Courtesy La Biennale di Venezia.
Occorre, infatti, lo sforzo coordinato di tutti per affrontare lo stato di crisi – e il necessario adattamento – in cui stiamo vivendo. “Nell’età dell’adattamento – dichiara il curatore – l’architettura rappresenta un nodo centrale che deve guidare il processo con ottimismo. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve attingere a tutte le forme di intelligenza: naturale, artificiale, collettiva. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve rivolgersi a più generazioni e a più discipline, dalle scienze esatte alle arti. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve ripensare il concetto di autorialità e diventare più inclusiva, imparando dalle scienze”.
Pietrangelo Buttafuoco e Carlo Ratti. Foto: Jacopo Salvi / Courtesy La Biennale di Venezia.
Per questo la Biennale mette al centro l’urgenza di un corale cambio di paradigma, puntando su innovazione, tecnologia e sostenibilità: sia attraverso il Manifesto di Economia Circolare – lanciato da Carlo Ratti, con la guida di Arup e il contributo della Ellen MacArthur Foundation – sia attraverso azioni concrete, promuovendo un modello sempre più sostenibile per la progettazione, l’installazione e il funzionamento di tutte le sue attività che elimini gli sprechi, riusi i materiali e rigeneri i sistemi naturali, con l’obiettivo di ottenere, anche per il 2025, la certificazione della “neutralità carbonica” secondo la nuova norma ISO 14068.
Venezia inoltre – una delle più esposte e vulnerabili città di fronte ai cambiamenti climatici – non ospiterà solo la Biennale Architettura, ma diventerà un laboratorio vivente facendo essa stessa da sfondo a un nuovo tipo di Mostra, in cui installazioni, prototipi ed esperimenti saranno sparsi tra i Giardini, l’Arsenale e altri quartieri.
Foto: Andrea Avezzù / Courtesy La Biennale di Venezia.
Un allestimento immersivo (e affollato)
È vero, il Padiglione Centrale è in fase di ristrutturazione per tutto il 2025, e quindi inagibile. Di contro, le Corderie dell’Arsenale diventano lo spazio focale dell’esposizione, attraverso il dipanarsi di tre mondi tematici, Natural Intelligence, Artificial Intelligence e Collective Intelligence: organizzati come organismi collegati, i suoi spazi (curati dallo studio di architettura e design Sub diretto da Niklas Bildstein Zaar, e il design grafico di Bänziger Hug Kasper Florio) diventano sequenze modulari e frattali che si inseguono, ambienti popolati da una foresta fittissima di opere, prototipi, oggetti, video, robot umanoidi, maquette, plastici, installazioni multimediali, grafici, pannelli, scenari.
L’installazione di newcleo, Pininfarina e Fincantieri alla Biennale Architettura 2025. Foto: ©Agnese Bedini / DSL Studio.
Un insieme articolato e fin troppo condensato di contenuti, talvolta difficile da percepire con esattezza perché confusionario. Va comunque ammesso, al netto della trasversalità dei progetti e della complessità del tema, che il team curatoriale ha svolto un ottimo lavoro, selezionando ricerche di qualità alta e scegliendo di proporre nella pannellistica brevi riassunti generati con l’intelligenza artificiale per favorire la divulgazione di queste materie a tutti.
Gateway To Venice’s Waterways. Foto: Marco Zorzanello / Courtesy La Biennale di Venezia.
Giardini, i migliori padiglioni
Decisamente migliorata rispetto alla scorsa edizione la situazione ai Giardini, dove quest’anno per fortuna si possono vedere esempi di Padiglioni particolarmente brillanti, ben riusciti o nello svolgimento del tema scelto o nell’allestimento dei propri spazi (o in entrambe le cose).
Tra quelli che ci sono piaciuti di più spicca senz’altro l’elegante lavoro espositivo svolto dalla Spagna con INTERNALITIES – Architectures for Territorial Equilibrium, che fa luce sugli sforzi di decarbonizzazione del settore edilizio mostrando proposte di una nuova generazione di architetti spagnoli che mirano a ridurre la dipendenza dal trasporto intercontinentale delle risorse e dalle energie fossili, favorendo un equilibrio interno tra ecologie e economie. Il progetto – organizzato attorno a cinque sottotemi, Materiali, Energie, Lavoro, Rifiuti ed Emissioni – si interroga su come, in che misura, a quale costo e attraverso quali edifici, città e territori l’architettura spagnola si stia allontanando dalle economie dell’esternalizzazione.
Padiglione Spagna. Foto: Luca Capuano / Courtesy La Biennale di Venezia.
Ad esserci piaciuti anche Serbia, Danimarca, Brasile, Austria che, attraverso un parallelo Vienna/Roma, affronta il tema dell’abitare e la disponibilità di alloggi a livello globale, divenuta una delle questioni socio-politiche più rilevanti del nostro tempo. Il padiglione austriaco con “Agency for Better Living” invita infatti i visitatori a confrontarsi su cosa definisce uno spazio abitativo di qualità e sul come possiamo progettare alloggi equi e accessibili per tutti.
Padiglione Austria. Foto: Luca Capuano / Courtesy La Biennale di Venezia.
Padiglione Italia
Ci dispiace ammetterlo, ma questo Padiglione Italia è lontano dalle aspettative e dalla prefigurata – in fase di conferenza stampa – wunderkammer. Peccato, perché il tema curatoriale risultato vincitore TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare pareva iscriversi bene nel tema portante della Biennale di Ratti, condividendone l’idea che sia possibile mettere in gioco differenti forme di intelligenza coordinate, per trovare soluzioni a disposizione di tutti. Mettendo al centro l’acqua e il rapporto fortissimo che la nostra penisola ha con mare, coste e infrastrutture. Un Padiglione che non restituisce la forza del tema – in particolare per l’allestimento e l’apparato comunicativo che appaiono poco incisivi – sopraffatto dall’eccessivo numero di partecipanti, ben 600, tutti arrivati attraverso la frettolosa call pubblica lanciata a febbraio e chiusa a marzo. Una scelta fin troppo democratica ed inclusiva, che ha fatto emergere i limiti dell’operazione di selezione curatoriale, col risultato che si percorre una grande scatola nera organizzata con impalcature, piena di foto e video e qr-code.
Padiglione Italia. Foto: Andrea Avezzù / Courtesy La Biennale di Venezia.
Premi & attività pubbliche
Oltre alla Mostra, la Biennale offre un ampio programma di attività collaterali durante il semestre di apertura, inclusi talk, conferenze, workshop, eventi. Come i GENS Public Program o Restaging Criticism, serie di incontri dedicati alla critica architettonica contemporanea, a cura di Christopher Hawthorne e Florencia Rodriguez, articolati in quattro categorie: Modalità e Piattaforme, Territori, Operatività/Operazione, Voci emergenti.
Ma innanzitutto, la Biennale si fa sentire assegnando dei premi. Quest’anno la Giuria internazionale, composta da Hans Ulrich Obrist, Paola Antonelli e Mpho Matsipa (Sudafrica) ha deliberato: Leone d’Oro per la migliore Partecipazione Nazionale al Regno del Bahrain con Heatwave, che offre una proposta concreta per affrontare condizioni di calore estremo; due menzioni speciali alle Partecipazioni Nazionali, una alla Santa Sede con Opera aperta e alla Gran Bretagna con GBR: Geology of Britannic Repair.
Pagiglione Bahrein. Foto: Andrea Avezzù / Courtesy La Biennale di Venezia.
Leone d’Oro per la migliore partecipazione alla Mostra, al Canal Cafè di Diller Scofidio + Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani, progetto ventennale che invita a future riflessioni sulla laguna, mentre il Leone d’Argento a Calculating Empires: A Genealogy of Technology and Power Since 1500 di Kate Crawford, Vladan Joler, manifesto visivo di grande formato che illustra come le infrastrutture digitali e sociali si siano sviluppate in modo interdipendente nel corso dei secoli. La Giuria ha assegnato anche due menzioni speciali ad Alternative Urbanism: The Self-Organized Markets of Lagos di Tosin Oshinowo, Oshinowo Studio e all’Elephant Chapel di Boonserm Premthada in Thailandia. Alla filosofa statunitense Donna Haraway e all’architetto, progettista e designer italiano Italo Rota (scomparso nell’aprile 2024) sono stati inoltre attribuiti rispettivamente il Leone d’Oro alla carriera e il Leone d’Oro speciale alla memoria.
Canal Café. Foto: Marco Zorzanello / Courtesy La Biennale di Venezia.