Il volume a cura di Fulvio Irace, Luisa Somaini e Francesco Tedeschi, edito da Electa su progetto di Enrico Crispolti, costituisce il catalogo della rassegna allestita in tre prestigiose sedi milanesi che ha ripercorso l’opera singolare e multiforme dello scultore Francesco Somaini. Una mostra diffusa, organizzata per temi, che restituisce il valore collettivo di un artista fino ad ora poco valorizzato nel panorama culturale ma le cui esemplari testimonianze sono sorprendentemente presenti in tutto il mondo. Alla scultura è stata dedicata l’esposizione nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, agli incontri – ovvero alle straordinarie collaborazioni con architetti e artisti del suo tempo – quella nella sezione Archivi del Museo del Novecento. Infine, alla Fondazione Francesco Somaini è stata allestita la mostra intitolata Oltre la scultura: la città, in cui Fulvio Irace e Luisa Somaini raccontano con passione l’originale rapporto tra l’opera d’arte e il contesto urbano, testimoniato dagli straordinari materiali d’archivio catalogati, schedati e esposti con grande cura negli spazi dell’elegante complesso di proprietà del FAI (Fondo Ambiente Italiano), in corso di porta Vigentina 31 a Milano.

Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia II [IV variante], 1967, bronzo (Milano, Palazzo Morando / Costume Moda Immagine (collezione Museo di Milano).

La costante sperimentazione e la continua ricerca di nuove modalità di trattamento scultoreo della materia è il filo rosso che lega tutte le opere esposte a Palazzo Reale, di cui è presente un’ampia e dettagliata documentazione all’interno del catalogo. La modalità di generare scultura “per forza di levare” è caratterizzata in Somaini dall’utilizzo delle più moderne e inaspettate tecniche, spesso di derivazione industriale; le celebri foto del reportage di Ugo Mulas del 1971 che ritraggono lo scultore in una sorta di scafandro mentre plasma i blocchi di gesso con un getto di sabbia ad alta pressione sono rappresentativi di un modo originale di intendere il gesto artistico, in cui il lavoro dell’uomo assume una dimensione vitalistica non soltanto rispetto al significato dell’opera finita, ma soprattutto in ciò che accade nel percorso originale della sua genesi.

Somaini al lavoro nel suo atelier con il getto di sabbia a forte pressione, 1977 (reportage di Enrico Cattaneo).

Appare quindi chiaro come un piccolo cambiamento nel processo generativo della scultura possa dare origine a forme e figure completamente differenti, secondo un principio che considera l’opera “cosa viva”, sempre aperta al cambiamento in una sorta di continua metamorfosi. Curiosa e emblematica è la serie delle Carnificazioni di un’architettura, dove l’idea di matrice classica che a partire dall’elemento naturale si plasmi la realtà artificiale dell’opera d’arte viene ribaltata facendo emergere forme umane dalla stereometricità dell’elemento architettonico.

Carnificazione di un’architettura: martirio I, 1975, bronzo.

L’aspetto ctonio, ancestrale, quasi mitologico delle sculture di Somaini identifica la precisa volontà di andare oltre la materia, di restituire un universo di figure primigenie che trovano la loro ragion d’essere in un’espressività enigmatica e monumentale, senza mai fissarsi in una forma predeterminata. Da qui l’incredibile sequenza di studi e bozzetti preparatori per il Monumento ai Marinai d’Italia (1966-67), che risulta esemplificativa del modus operandi dello scultore: una serie di ben quindici versioni, eseguite spontaneamente con bozzetti in bronzo in bagno di nichel, bronzo patinato e resina bianca, che esprimono un lavoro di ricerca quasi ossessivo ben rappresentato nell’allestimento della Sala della Lanterna a Palazzo Reale.
Il gesso del Monumento, che a partire dall’idea dell’onda marina rimanda nelle sue suggestioni formali alla “Vittoria Alata” e alla Nike di Samotracia, viene presentato nel febbraio 1967 all’interno dello studio di Somaini a Lomazzo. Nell’agosto dello stesso anno la grande scultura in bronzo viene collocata nella fontana del parco dedicato ai Marinai d’Italia, e il 10 settembre il monumento viene ufficialmente inaugurato dal Presidente del Consiglio Aldo Moro. Il progetto era stato affidato due anni prima all’architetto Luigi Caccia Dominioni che per la sua ideazione aveva coinvolto immediatamente Somaini, con il quale aveva un sodalizio professionale da più di un decennio.

Monumento ai Marinai d’Italia, 1967, bronzo (Milano, Largo Marinai d’Italia).

Il progetto del Monumento ai Marinai d’Italia aveva inaugurato un fecondo filone di ricerca artistica riguardante il rapporto tra la scultura e l’ambiente urbano, con innumerevoli proposte progettuali che nel 1972 sarebbero confluiti nel volume Urgenza nella città, scritto insieme allo storico dell’arte Enrico Crispolti. Proprio su questo tema è incentrata la mostra Oltre la scultura: la città, allestita presso la Fondazione Somaini, dove campeggiano alcune proposte monumentali a scala urbana come la Sfinge di Manhattan (1974) e il Controprogetto per la Königstrasse di Duisburg, episodi progettuali visionari in cui il fuori scala della scultura si inserisce come un ammonimento nella sterile razionalità del tessuto urbano, come un ostacolo che mette a nudo i limiti della città moderna.
Di grande rilevanza è inoltre la proposta collettiva presentata da Somaini insieme a Lucio Fontana, Ico Parisi e Enrico Cavadini per il concorso al Monumento alla Resistenza di Cuneo (1962-63), identificata dal motto “Spazio R”. Già nel modello realizzato per il primo grado del concorso un percorso ipogeo che incide simbolicamente il paesaggio – una sorta di taglio operato sul piano orizzontale – coglie il senso di quei luoghi lasciando quasi inalterato il rapporto visivo con le Alpi e costruendo i percorsi nella profondità della terra. I numerosi modelli che testimoniano l’evoluzione progettuale del monumento sono stati immortalati, nel 1962, da uno straordinario reportage fotografico di Giorgio Casali, in cui il bianco e nero e l’uso sapiente e drammatico della luce evocano in modo eloquente l’atmosfera pensata dai progettisti.

Sfinge di Manhattan: Proposta per la costruzione di un centro di spettacolo e di studi audiovisivi, 1974, fotomontaggio.

Ma più in generale è la questione della sintesi delle arti ad essere centrale nell’esperienza di Somaini, proprio in virtù di quel singolare rapporto con i più importanti architetti dell’epoca, in particolare Ico Parisi e Luigi Caccia Dominioni. Dall’incontro con il primo scaturiranno opere come La danzatrice (1950) per Casa Bini a Monte Olimpino o il Grande Motivo (Donna che legge) per il Padiglione di Soggiorno per la Triennale del 1954, oggi Biblioteca al Parco Sempione. Al prolifico rapporto con il secondo si ascrivono tutti gli straordinari mosaici pavimentali, complementari ai progetti architettonici per la capacità di rivelare i percorsi e raccordarli agli spazi più rappresentativi. Tra i più celebri, quelli della Galleria Strasburgo (1956-60), tra Corso Europa e via Durini, quelli del Teatro Filodrammatici (1969) e quelli delle gallerie d’ingresso degli edifici di via Nievo e Corso Italia, progettati da Luigi Caccia Dominioni nella seconda metà degli Anni Cinquanta.

Progetto per una sistemazione della Piazza Duomo di Milano con una piazza a più piani per manifestazioni, 1970, inchiostro su carta.

Dall’analisi di tutti questi progetti in collaborazione con architetti e artisti emerge una precisa idea sull’identità dell’opera d’arte: Somaini si adoperava affinché le sculture e i mosaici pavimentali non fossero decorativi, ma che al contrario divenissero parte integrante dell’architettura, capaci di dare allo spazio quella fluidità che forse l’architettura, da sola, non poteva garantire. Gli spettacolari studi per il mosaico per il sagrato del Duomo di Milano (1987), insieme al precedente progetto di sistemazione della piazza (1970) – caratterizzato da un grande elemento a spirale che conduce ai piani sotterranei – sono tra le proposte più ardite ma allo stesso tempo più raffinate del percorso artistico di Somaini. Questa volontà di creare contrasti, di evocare realtà primigenie contro l’indifferenza e la neutralità dello spazio urbano – e, in fondo, di quello artistico – può essere individuata come la cifra in grado di riassumere un percorso creativo singolare e forse irripetibile nell’esperienza della modernità.