Roberto Gabetti appartiene a quel gruppo di protagonisti nati tra 1925 e primi anni Trenta, che a partire dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento hanno promosso un radicale rinnovamento dell’architettura italiana rispetto ai canoni del Movimento moderno tra le due guerre. La città, la storia, la tradizione, l’ambiente naturale e costruito, il paesaggio, il linguaggio sono stati i terreni privilegiati della sua ricerca e delle sue architetture, condotte per oltre un cinquantennio nell’ininterrotto sodalizio con Aimaro Isola. Laureato con Muzio, aiuto e poi assistente di Mollino, come quel gruppo di suoi sodali e coetanei Gabetti per tutta la vita ha insieme costruito, scritto e insegnato, intrecciando costantemente questi ruoli e attività in una dimensione di impegno civile e intellettuale che ne hanno fatto un maestro riconosciuto e tra i più influenti nell’architettura italiana del secondo Novecento.
Nell’occasione dei novant’anni dalla nascita e dei quindici dalla scomparsa, il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino ha voluto dedicargli due giornate di studio cui hanno partecipato alcune delle principali personalità della cultura architettonica italiana, insieme a colleghi e allievi del Politecnico di Torino e a docenti e giovani ricercatori di numerose scuole di architettura italiane, in un confronto anche generazionale di grande interesse.
I materiali del convegno, tenuto a Torino nelle giornate 25-27 novembre 2015, sono ora raccolti in un volume a cura di Gentucca Canella e Paolo Mellano, che del convegno erano stati i principali promotori e organizzatori.

Roberto Gabetti e Aimaro Isola, asilo comunale a Oglianico Canavese (To), 1956-57.

Roberto Gabetti e Aimaro Isola, con Luciano Re, residenziale Olivetti, Ivrea, 1968-71.

Il volume, edito da FrancoAngeli in una serie promossa dalla presidenza della Scuola di Architettura Civile del Politecnico di Milano, in cui sono già usciti i titoli dedicati a Ernesto N. Rogers, Guido Canella e Carlo De Carli, non è una semplice raccolta degli atti, ma costituisce un autentico avanzamento della critica e della conoscenza del pensiero e dell’opera di Gabetti, con contributi, rielaborati e ampliati rispetto agli interventi allora svolti dai rispettivi autori, tutti di grande interesse, impegnati e rigorosi, e tutti pervasi, al tempo stesso, da un caldo sentimento d’affezione alla figura di Gabetti.
Andrebbero tutti ricordati e commentati, ma basti almeno citare per autorevolezza e vicinanza alla sua vicenda artistica e intellettuale, a conferma dell’importanza del volume, quelli di Aimaro Isola, Vittorio Gregotti, Andreina Griseri, Paolo Portoghesi, Werner Oechslin, Luciano Semerani, Carlo Olmo. A fronte di questi, quasi per contrappasso, di particolare interesse sono gli interventi dei docenti più giovani, raccolti sotto il titolo significativo “Roberto Gabetti, la scuola di Torino e una nuova generazione di docenti”, testimonianza della fertilità tuttora operante del suo magistero.
Una segnalazione a parte merita infine l’organizzazione redazionale del volume, in particolare la scelta degli inserti illustrativi, dove le opere del maestro torinese sono documentate con immagini non convenzionali, meno consuete, spesso viste particolari o di dettaglio, e dove una intera sezione è dedicata a bellissimi disegni poco conosciuti o perfino inediti di un giovane Gabetti ancora studente, tra 1946 e 1948, per bozzetti e scenografie teatrali, giustamente pubblicati a colori.
Un volume, in sintesi, che suggella degnamente un’iniziativa meritoria per commemorare in termini non meramente celebrativi, attraverso contributi originali di studio e di analisi critica, la figura e l’opera di un maestro dell’architettura italiana del secondo Novecento.