Bisogna ricercare un certo coraggio, dentro di sé, per realizzare un edificio come il Polo Logistico Casappa, sia dal punto di vista etico, nei confronti di un territorio, sia dal punto di vista tecnico-espressivo, trattandosi di un genere di costruzione in cui l’espressività fatica a prevalere sulla funzione; e sia dal punto di vista della realizzazione, poiché l’architettura si confronta con la perentoria precisione della macchina.
In questo edificio funzione e forma devono aderire perfettamente, e tuttavia non è possibile evitare il confronto con le ragioni espressive della composizione nel luogo. Luogo che può essere riassunto in modo elementare come formato da una strada di grande traffico commerciale, via La Spezia, che collega il centro di Parma con il mar Tirreno, mentre le giaciture degli edifici preesistenti, adagiate sulle tracce dell’antica centuriazione romana, sono intersecate dalla stessa via La Spezia con cui formano un angolo acuto; e infine l’ampio intorno, formato da ritagli di una campagna di struggente bellezza, che si rispecchia nel cielo padano.

Foto: Chiara Tumbarello.

Il grande volume ricopre una superficie di 10.300 mq. È formato essenzialmente in tre parti distinte in altezza, accostate in ordine gerarchico, che formano un complesso compatto che contribuisce decisamente a definire la nuova immagine dell’azienda.
Il magazzino automatico costituisce la testa dell’impianto verso est da cui si sviluppano, digradando verso ovest, i volumi delle funzioni collegate che culminano nel ponte che collega le linee di trasporto automatico agli edifici preesistenti in cui si trova la produzione.
L’impatto dell’edificio nel paesaggio è stato affrontato a partire dalla scelta del colore. Traendo insegnamento dall’esperienza dei “caccia militari”, colorati nelle parti inferiori secondo definiti punti di grigio-bianco che li rendono il meno visibili possibile, si è scelto una tonalità codificata con precisione, e che ben si confonde, se guardati dal basso, con le tonalità della maggior parte dei cieli della Pianura Padana: diafani, acquorei e avari di ombre.
Il grande volume tende quindi a smaterializzarsi e a inserirsi con una certa naturalezza nel paesaggio, aiutato per contrasto da un basamento in marrone scuro che lo alleggerisce, come fosse una scòzia, staccandolo dal suolo nell’attacco a terra.

Foto: Chiara Tumbarello.

All’interno i sistemi logistici automatizzati costruiscono un invaso imponente, animato da numerose navette robotizzate che corrono a tutta velocità in ogni direzione per raggiungere le componenti meccaniche posizionate su scaffalature autoportanti che si spingono in profondità per 110 metri e fino a 25 metri di altezza.
Si tratta di una sezione dalla vertiginosa verticalità, un abisso meccanico che sembra racchiudere un mondo a sé, il quale non ha nulla da invidiare agli scenari fantastici delle città immaginate da Ridley Scott in Blade Runner (1982).

Pianta livello + 5.60 m.

Se l’aspetto tecnico-funzionale ha prevalso nella composizione volumetrica del Polo Logistico, grande attenzione è stata dedicata alla configurazione interna degli uffici, che ospitano un considerevole numero di addetti, e che a pieno regime raggiunge le 55 unità.
In particolare il progetto per gli uffici del Polo Logistico, disposti su tre piani per un totale di circa 1.000 mq, si basa su due punti principali: da un lato mette a disposizione un’ampia varietà nelle tipologie delle postazioni di lavoro e dall’altro si propone di innalzare il livello di benessere ambientale. Tutto questo al fine di ottenere più elevati livelli di qualità di vita e di lavoro, connessi al benessere e alla salute della persona.

Foto: Chiara Tumbarello.

All’indomani della pandemia che, nonostante tutto il dolore prodotto, ha permesso di consolidare nuovi approcci nell’organizzazione degli spazi del lavoro (Smart working, distanziamenti, turnazioni nell’utilizzo delle workstation, ecc.), si è compreso come sia opportuno ed efficiente non insistere esclusivamente sulla tradizionale postazione fissa ma, al contrario, sia necessario creare occasioni di scambio e relazione interpersonale che solo un ambiente fluido ed accogliente produce. L’obiettivo di progetto è quello di trovare un punto di equilibrio tra spazio di lavoro privato e spazio destinato all’incontro, alla socialità, alla collaborazione e allo scambio di informazioni, in un ambiente salubre e ricreativo.

Foto: Chiara Tumbarello.

Per questo motivo sono stati disegnati ampi spazi destinati alle workstation attrezzate, che di volta in volta potranno essere occupate a rotazione e in modo flessibile, alternati a meeting room di varia dimensione e modulabili a seconda delle necessità. All’interno di questo sistema, che potremmo definire più tradizionale, sono ricavate postazioni che generano occasioni di lavoro informale, sparse lungo i principali assi di percorrenza e di sosta, o nelle aree di ristoro. L’idea progettuale culmina in un grande spazio aperto che abbiamo definito Agorà, una vera e propria piazza interna nella quale si possono radunare consistenti gruppi di persone che trovano sistemazione su di una particolare tribuna rivolta verso un ideale punto centrale.

Foto: Chiara Tumbarello.

Tutto questo fluire di spazi è organizzato attraverso vetrate trasparenti che permettono di poter sfruttare al meglio la luce naturale che raggiunge in profondità anche gli spazi più remoti. Tuttavia è soprattutto attraverso la vegetazione naturale che sono realizzate le varie configurazioni spaziali. Aderendo appieno ai principi su cui si basa la biofilia, abbiamo immaginato che fosse vantaggioso, per gli obiettivi del nostro progetto, progettare un giardino interno: un ufficio che fosse un giardino e allo stesso tempo un giardino che fosse un ufficio.
Investire nel verde all’interno dei luoghi di lavoro, sostenuti da una committenza che ha fatto tesoro di questi principi, non è solo una scelta ambientale o “modaiola”, ma una strategia vincente per promuovere il benessere delle persone, la produttività, e la sostenibilità dell’azienda. La biofilia, infatti, s’interpreta – come dimostrato da un’esaustiva letteratura – come quella linea di pensiero capace di rimetterci in contatto con la natura stessa, per creare ambienti ed atmosfere in grado di influenzare positivamente il nostro benessere, il nostro umore, fino a ispirare il nostro modo di vivere.

Foto: Chiara Tumbarello.

Se è vero che la collaborazione, il coinvolgimento e la condivisione d’idee sono alla base della produttività e della maggior soddisfazione nel lavoro, abbiamo pensato che l’applicazione di questo principio sarebbe stata ancora più efficace se realizzata per mezzo di un giardino interno, dove il verde organizza gli spazi alternando luoghi appartati a luoghi collettivi, luoghi d’incontro e luoghi per la socialità; e dove intere pareti sono realizzate con vegetazione naturale che si arrampica rigogliosa su apposite spalliere e forma pergolati da cui le piante lasciano cadere i sarmenti fino a lambire i tavoli di lavoro. Ma tutta questa vegetazione ha anche lo scopo di migliorare oggettivamente la qualità dell’aria, oltre che a rendere piacevoli gli spazi. A partire dalla fine degli anni ottanta infatti, con il noto Clean Air Study della NASA (1989), che ha dato il via ad altri importanti studi scientifici, è stato dimostrata la capacità della vegetazione naturale da interni di detossificare gli ambienti.
Non è questa la sede per approfondire un tema così utile ed interessante, tuttavia ci basti sapere che le piante funzionano come filtri per l’aria, quando di giorno assorbono il diossido di carbonio necessario alla fotosintesi, assimilando così anche le tossine presenti, e contemporaneamente, attraverso le foglie, rilasciano acqua e gas che aiutano a mantenere i corretti livelli di umidità. Per questo motivo risulta essere incoraggiante sapere che il potere purificante delle piante da interni porta a + 87% di tossine eliminate, a + 20% di umidità, contro il – 20% di polvere, – 60% di muffe, – 50% di batteri, – 25% di casi di SBS (Sick Building Syndrome), solo per fare alcuni esempi1.

Pianta piano tipo uffici.

In altre parole è provato che il verde naturale, utilizzato per la costruzione di spazi interni nei luoghi del lavoro, determina un innalzamento del benessere generale, con conseguente diminuzione dell’affaticamento, a cui si associano effetti positivi sull’umore, sulla concentrazione, sulla creatività ed infine sulla produttività. Va precisato che un ambiente di lavoro arricchito da vegetazione naturale, in grado di produrre gli effetti sopra descritti, comunica una maggiore attenzione manageriale nei confronti del benessere delle persone, che si traduce in maggior soddisfazione sul posto di lavoro, rafforzando il senso di appartenenza e identità condivisa.

Foto: Chiara Tumbarello.

E a proposito d’identità condivisa e senso di appartenenza, chissà se i grandi pittori “parmigiani” Correggio e Parmigianino, indiscutibili maestri del tardo Rinascimento e attivi in questo stesso territorio di cui hanno contribuito a divulgarne la cultura in tutto il mondo, avranno pensato ai benefici prodotti dai loro pergolati in trompe l’oeil, dipinti rispettivamente nella Camera di San Paolo a Parma e nella Rocca San Vitale a Fontanellato. Luoghi di ozio e ricreazione certo, ma anche di creatività e di cultura, dove coltivare relazioni interpersonali e intraprendere discussioni di lavoro.
A noi sembra che questi due grandi artisti, di cui ci sentiamo in qualche modo debitori, facendo tesoro dei mezzi a loro disposizione, avessero intuito proprio questo nelle loro opere: che trasformare uno spazio indifferente in un rigoglioso giardino interno, avrebbe arricchito lo spirito delle persone che lo avrebbero frequentato.

Note

1. Per un primo approccio al tema si veda, oltre allo studio NASA citato nel testo: Edwars O. Wilson, Biophilia. The Human Bond with Other Species, Harvard University Press, Cambridge, MA., USA, 1984 / ed. italiana: Edwars O. Wilson, Biofilia. Il nostro legame con la natura, Piano B Edizioni, Prato, 2021.

Foto: Chiara Tumbarello.