Mi è capitato in alcune occasioni, penso ad un convegno sul paesaggio ad Amman, come ad una visita all’ufficio di urbanistica della città di Guangzhou, l’antica Canton, di essermi scontrato con i colleghi americani che, del tutto ignari delle teorie più aggiornate sull’urbanistica, ad iniziare dai fondamentali studi di Jane Jacobs, proprio su città americane, fino a giungere alle più recenti riflessioni di Maurizio Carta sui tessuti urbani contemporanei, vanno applicando stancamente le teorie dello zoning. Si tratta di suddividere le città in aree omogenee, attribuendo ad ognuna di esse una funzione specifica, per regolare l’uso del suolo, delimitando le attività che possono svolgersi in determinate zone e stabilendo vincoli e limiti in ognuna di queste. Proprio queste metodologie di pianificazione hanno provocato tanti danni al territorio. Per contrastarle vale la pena riprendere alcune delle considerazioni di Leon Krier che considera tali moderne elaborazioni innaturali e dannose perché creano una città tagliata per parti, frammentata e dipendente dalla macchina, costringendo gli abitanti ad un continuo muoversi tra le diverse zone e la residenza, invece dell’antico utilizzo della vitalità urbana che deriva dalla mescolanza di quelle funzioni, come si ritrovano nelle tradizionali città d’Europa.
In sintonia con gli studi elaborati dall’autore del libro in questione.
Essere chiusi, uniti e stratificati aiuta a sviluppare le qualità che rispondono alle aspirazioni e ai bisogni individuali, oltre che a una densità più alta.
Si parte dai risultati del 1998, citati nell’introduzione di Jan Gehl, quando ad Atene è stata organizzata la conferenza degli urbanisti europei che ha ribaltato proprio la concezione dello zoning, stabilendo che “residenze, luoghi di lavoro, spazi ricreativi e vie di comunicazioni non debbano essere separati”. David Sim, allievo di Jan Gehl, dopo gli studi in Scozia, si trasferisce in Scandinavia e completa la sua formazione divenendo professore di architettura all’Università di Lund. Molto amato dagli studenti, e titolare di un noto studio di pianificazione urbana, ha iniziato a elaborare le sue proposte con quattro persone in una mansarda, per divenire un brand mondiale con sedi a Copenaghen, New York e San Francisco. Per il libro in questione si hanno 25 traduzioni e un successo planetario frutto di esperienza di masterplan, strategie urbane e progetti di urban design in tutto il mondo. A ciò si aggiunge la ricerca di nuovi modi per intervenire negli arredi, elaborata nei negozi dell’Ikea, e la ricostruzione di Christchurch, in Nuova Zelanda, a seguito del devastante terremoto del 2011.
Piazza Volta, Como. Un luogo da percorrere a piedi o in bicicletta, un luogo dove fermarsi, sostare e sedersi. Incorniciato da edifici abbastanza alti da definire lo spazio, abbastanza bassi da lasciare un grande cielo aperto, una piazza ombreggiata da alberi, con arredi pubblici e privati, e sempre con una vista suggestiva sulle montagne.
Tra i punti qualificanti del volume, impreziosito da esempi che possono essere replicati, troviamo lo studio di alcuni interventi urbani di base con soluzioni di progetto pensate per creare comunità più sostenibili e resilienti, unite a stili di esistenza salutari per coloro che ci vivono, in sintonia con la considerazione di Jaime Lerner, l’architetto che considera la città non il problema ma la soluzione. Ovviamente si fa riferimento ad una città dolce, semplice e confortevole, dove la densità è misurata dalla presenza dell’uomo, in grado di adattarsi a esigenze che evolvono e di far crescere le relazioni tra gli abitanti per recepire i piccoli piaceri della vita quotidiana.
Proprio il contrario dello smog, del caos derivato dai blocchi del traffico. Questi sono dovuti agli spostamenti in macchina, spesso di singoli individui che assorbono le risorse umane, ambientali e comunitarie. Si propone invece, in sintonia con lo slogan della città in 5 minuti, un approccio “dolce”, sensibile all’ambiente e al consumo di risorse. In accordo con tale premessa suggerisce un altro punto essenziale dove viene esplicato il concetto di vicinato, ritenendo che non si tratta di un luogo ma di uno stato d’animo.
Un salotto all’aria aperta per l’intera città Västra Hamnen, Malmö, Svezia. La banchina gradonata diventa un piccolo palco per ballare il tango nelle serate primaverili.
Stiamo assistendo ad un tumultuoso processo di urbanizzazione dove persino il termine “vicino” assume una grande importanza dal momento in cui i tessuti urbani si vanno densificando oltre che diversificando. Ciò comporta nutrire la consapevolezza che la diversità e le differenze creano nuove opportunità. Il modo più semplice e immediato per sviluppare le nuove opportunità è quello di avere dei vicini. Ciò si può attuare sviluppando le relazioni con gli altri accrescendo le possibilità di avere nello stesso luogo diverse attività che permettono un’alta qualità della vita senza la necessità di spostarsi da un luogo ad un altro.
Basta organizzare tutto a portata di mano con il vicinato urbano aumentando la densità delle opportunità, evitando le chiusure e diversificando tra di loro gli edifici e gli spazi inclusi. Questi modelli sono stati già applicati in numerose città del nord Europa che hanno utilizzato gli spazi aperti connessi, diversificato quelli esterni, le corti verdi aperte, la stessa stratificazione degli edifici con l’inserimento di una pluralità di funzioni al loro interno. Hanno anche potenziato le aperture dei piani terra e altre semplici disposizioni tecniche che hanno permesso di sviluppare da San Paolo in Brasile a Tokyo, da Belllagio in Italia a Londra, la città dolce. Il risultato ottenuto è stato quello di accrescere il tempo a disposizione e in generale la qualità della vita.
Un isolato di Christianshavn con un ampio spazio comune nel centro circondato da giardini privati condivisi e con alcuni piccoli spazi privati lungo le facciate degli edifici.
Al contrario è sufficiente organizzare tutto a portata di mano con il vicinato urbano, aumentando la densità delle opportunità, evitando le chiusure e diversificando gli edifici e gli spazi inclusi tra loro.
Si tratta davvero di un ottimo manuale che andrebbe diffuso nei dipartimenti di urbanistica per superare le ideologie di una città nata male e sviluppata nel peggiore dei modi ma che per molti costituisce ancora l’unico modello esistente.
Il libro in questione rappresenta davvero un ottimo manuale che andrebbe diffuso nei dipartimenti di urbanistica per superare le ideologie di una città nata male e sviluppata nel peggiore dei modi perché si è ritenuto che il modello adottato per lo sviluppo fosse ancora l’unica proposta esistente.
Frequentare gli isolati. La vera qualità urbana deriva dall’agevolare densità, diversità delle tipologie edilizie e funzioni nello stesso luogo. Credo che la differenza di usi e di fruitori, sebbene talvolta conflittuale, possa coesistere e aumentare l’appetibilità di un vicinato, a patto che ciò si sviluppi in una struttura urbana che permetta di diventare buoni vicini.