Lungo la ferrovia, poco prima di giungere alla stazione di Roma Termini, volgendo lo sguardo a destra, è possibile scorgere una cupola monumentale palesemente moderna, che emerge dominante sui vicini edifici del Tuscolano. Simbolo riconoscibile nella città di Roma, la Basilica di San Giovanni Bosco identifica il quartiere omonimo. Meno conosciuto, invece, è colui che l’ha progettata, l’architetto Gaetano Rapisardi.
A colmare questa lacuna, così da farci conoscere meglio questo valente progettista, interviene il recente volume curato da Clementina Barucci e Marco Falsetti, Gaetano Rapisardi, Architetto 1893-1988, per i tipi della casa editrice romana Campisano (2022).
Il libro consta del contributo di un gruppo di studiosi appartenenti a diversi atenei italiani, fra i quali Franco Purini, Maria Grazia Turco, Ettore Sessa, Antonella Greco, Giusi Ciotoli, Francesca Passalacqua, Federico Fazio, Emanuela Scannavini, Alessandra Volpe, Fabio Guarrera, Andrea Bentivegna, Antonio Schiavo.

Gaetano Rapisardi, Basilica di San Giovanni Bosco, Roma. Foto del modello (Archivio Centro Studi Giorgio Muratore).

“In anni recenti la diffusione, sostenuta da diversi studiosi, del concetto di ‘altra modernità’ ha promosso, anche all’interno del panorama nazionale, un approccio più laico nei confronti di alcune figure di progettisti che hanno operato nel periodo fascista. Tale circostanza, incentivata dall’interesse che il Novecento italiano riveste negli studi internazionali, ha favorito una maggiore comprensione della storia dell’architettura moderna e ha permesso di far luce su figure rilevanti ma a lungo tralasciate dalla storiografia”, sottolineano Clementina Barucci e Marco Falsetti nell’introduzione al testo. Infatti nella recente storiografia, Gaetano Rapisardi viene menzionato soprattutto come collaboratore, insieme al fratello Ernesto, di Marcello Piacentini, e per aver realizzato gli edifici della Sapienza – le Facoltà di Lettere/Filosofia e di Giurisprudenza – oltre al grande complesso della Piazza e della Basilica di San Giovanni Bosco al Tuscolano; sono invece state tralasciate le innumerevoli opere realizzate da Rapisardi nel corso dei quasi cinquant’anni di attività professionale, soprattutto una volta terminata la collaborazione con il maestro Piacentini. I progetti e le realizzazioni di Rapisardi sono infatti numerose, ed interessano un arco temporale molto ampio che va dall’inizio degli anni Venti fino ai primi anni Settanta. Questo aspetto, difatti, lo rende una delle poche figure del Ventennio a non essere mai stata studiata dai critici e dagli storici dell’architettura.

Gaetano Rapisardi, Facoltà di Giurisprudenza e Scienze politiche, Città universitaria di Roma (da: Archivio storico dell’Università Sapienza, Fondo Patrimonio Architettonico della Città Universitaria – Giurisprudenza – Lettere).

Il volume nasce da una ricerca d’Ateneo del Dipartimento di Storia Disegno e Restauro dell’Architettura dell’Università di Roma La Sapienza finanziata nel 2018, ed è strutturato attraverso interventi che affrontano ed approfondiscono tematiche differenti, in relazione ai lavori (concorsi, progetti) di Rapisardi, ognuno dei quali curato da uno studioso. Il volume si avvale anche di materiale inedito appartenente all’Archivio del Centro Studi Giorgio Muratore, fra i quali numerosi disegni, schizzi e fotografie di modelli di progetto.

Gaetano Rapisardi, Stabilimento di Ottica Meccanica e Rilievi Aerofotogrammetrici Nistri (Archivio Centro Studi Giorgio Muratore).

Il primo intervento Gaetano Rapisardi nell’architettura italiana del Novecento, della co-curatrice del volume Clementina Barucci, esamina come Rapisardi, siracusano di nascita, dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze in Architettura, si trasferisca a Roma per avviare la sua attività architettonica: inizialmente in proprio, proponendo un’architettura in armonia con le tendenze dominanti della scuola romana. Nel 1925 inizia la sua collaborazione con Marcello Piacentini, insieme al fratello Ernesto, all’interno di uno studio frequentato anche da altri professionisti di spessore, quali ad esempio Luigi Piccinato, Angelo Mazzoni, Cesare Pascoletti, Innocenzo Sabatini e Giuseppe Vaccaro. La prima collaborazione ufficiale nello studio Piacentini avviene con il progetto per il Palazzo della Società delle Nazioni di Ginevra del 1926, un sodalizio professionale tra Piacentini, Angelo Mazzoni e Gaetano. Rapisardi. Il concorso di Ginevra – al quale è dedicato un saggio a firma di Maria Grazia Turco – rappresenta un momento molto importante per l’architettura internazionale soprattutto per il confronto tra le diverse posizioni ed interpretazioni dei “principi del classicismo”, richiesti nel programma del concorso, riconducendoli ad una utilitas del progetto, al quale il gruppo risponderà proponendo un prospetto scandito da un ordine gigante di semi-colonne, che percorre tutta la facciata principale. Successivamente Piacentini gli affiderà l’incarico di progettare le Facoltà di Lettere e Filosofia e di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, edifici posti a fianco del Rettorato (analizzati nel saggio di Andrea Bentivegna). Nel periodo prebellico, l’architettura di Rapisardi si caratterizza per i molti concorsi a cui partecipa (celebre il concorso per il Palazzo del Littorio indagato da Antonio Schiavo) e le realizzazioni legate a edifici civili ed istituzionali, come ad esempio i Palazzi di Giustizia esaminati da Ettore Sessa, di estrema rilevanza durante il Ventennio fascista così come negli anni immediatamente successivi.

Gaetano Rapisardi, Concorso per la palazzata, Messina, 1930, con Ernesto Rapisardi (da: P. Marconi, Il Concorso Nazionale per il progetto della Palazzata di Messina, “Architettura e arti decorative”, X, fascicolo XII, agosto 1931, pp. 583-614).

L’altro curatore Marco Falsetti affronta come, con il mutare dell’assetto politico dell’Italia post bellica e l’ostilità di critici molto influenti, l’operato del Rapisardi, soprattutto in alcune occasioni di concorso (si veda quello per il Palazzo della Regione Sicilia), sia spesso attaccato con critiche violente, la qual cosa determina una sorta di ostracismo dalle riviste di architettura del periodo, dove prima le sue opere erano spesso presenti. Falsetti analizza come la carriera di Rapisardi sia essenzialmente costituita da due grandi periodi divisi dalla Seconda Guerra Mondiale ma, dichiara nel libro, che: “questa classificazione va intesa come di natura prettamente tematica, dal momento che nel dopoguerra mutano in primo luogo i soggetti e la committenza, con la fondamentale introduzione dell’edilizia sacra nella sua opera”. Se nel primo periodo di carriera è legato a Piacentini, successivamente Rapisardi proseguirà il lavoro in maniera indipendente, talvolta con l’aiuto di suo fratello Ernesto e la collaborazione di artisti noti come Arturo Dazzi (ai rapporti con quest’ultimo è dedicato un saggio di Antonella Greco).

Gaetano Rapisardi, piazza San Giovanni Bosco, Roma. Intensivo tra via Marco Fulvio Nobiliore e via Pietro Bonfante (foto Marco Falsetti).

Proprio il periodo romano è oggetto – da alcuni anni a questa parte – di approfondimenti da parte di studiosi provenienti soprattutto da università anglosassoni. Falsetti inoltre approfondisce l’aspetto tipologico del Rapisardi, evidenziandone l’innovatività celata da un classicismo scabro, come testimonia il dittico di edifici della Città Universitaria romana, le due Facoltà di Giurisprudenza e Lettere, uniche nel loro genere.
La stagione siciliana di Rapisardi è invece indagata da tre differenti saggi a firma di Francesca Passalacqua, Federico Fazio e Fabio Guarrera che approfondiscono, rispettivamente, il periodo a Messina, il rapporto con il contesto archeologico siracusano e il confronto con una figura complessa come quella di Francesco Fichera.

Gaetano Rapisardi, Palazzo ASST Azienda di Stato per i Servizi Telefoni, angolo via delle Vergini, via dell’Umiltà, Roma, 1958, non realizzato (Archivio Centro Studi Giorgio Muratore).

Il contributo di Franco Purini sottolinea quanta poca attenzione la storiografia italiana abbia dedicato all’opera di Rapisardi, nonostante la sua partecipazione a importanti realizzazioni come la Città Universitaria di Roma ed i progetti per i tribunali di Palermo, Campobasso e Pisa. Purini definisce l’architettura di Rapisardi una “nobile architettura urbana” riconosciuta invece, nel suo autentico valore, dal Cinema degli anni Sessanta, evidenziando quanto Rapisardi abbia “saputo concludere in modo ammirevole, la vicenda del quartiere Tuscolano…”. Inoltre nell’analisi della Basilica di San Giovanni Bosco, illustra i tre caratteri costituenti e riconoscibili dell’architettura rapisardiana: monumentalità, semplicità volumetrica e assolutezza metafisica, che nella Basilica soprattutto, vengono portati al massimo della loro potenzialità espressiva.

Gaetano Rapisardi, Chiesa di San Rufino a Mondragone, Caserta, 1958 (foto Filomena Naclerio).

Nel dopoguerra l’architettura non è più vista come “arte di Stato”, perdendo quella funzione “auto rappresentativa” che aveva avuto nel passato, soprattutto per gli architetti che operavano durante il Regime. Cambiano i committenti: non più pubblici, ma privati (l’edilizia residenziale è indagata nel saggio di Emanuela Scannavini) e religiosi. Tante sono le chiese progettate da Gaetano Rapisardi di cui si ha conoscenza, tra queste appunto la più famosa è la Basilica di San Giovanni Bosco. Tuttavia molti degli edifici religiosi progettati da Rapisardi si trova sparsa per l’intera penisola, come testimoniano i contributi di Alessandra Volpe (con il Seminario della Chiesa di Santa Croce a Castelnuovo Garfagnana a Lucca) e di Giusi Ciotoli con le chiese parrocchiali sparse tra il basso Lazio e il casertano, in centri quali Pofi, Mondragone, Sessa Aurunca e Aulpi. Questo saggio, in particolare, cerca di tracciare la parabola progettuale di Rapisardi negli anni Cinquanta, confrontando le opere realizzate nella Diocesi di Sessa Aurunca (in provincia di Caserta). Un lavoro di archivio che ha permesso di ascrivere a Rapisardi la paternità di alcune chiese permettendo di fatto di allargare la conoscenza delle opere dell’architetto.
Coronano il volume due rare testimonianze dirette, a firma, rispettivamente, di Stefano Saulli e Gianfranco Barilà, e di Marina Regni Sennato che restituiscono la viva voce dell’architetto, di cui proprio quest’anno si celebrano i 130 anni dalla nascita.