Ricordando un grande Maestro dell’architettura
Scrivere alcune frasi e pensieri su Umberto Riva non è facilissimo per me, o, meglio, lo diventa in quanto ho avuto l’onore e la grande gioia di poter collaborare alla progettazione di alcune sue importanti architetture (avendo lavorato nel suo studio appena laureata), però, allo stesso tempo, ciò non è semplice, perché confondo i ricordi di esperienza vissuta con quelli in qualche modo condivisi da tutti e, quindi, perdonatemi se aprirò alcune “parentesi”, ma cercherò di essere molto distante e di vedere dall’alto due dei suoi progetti, a mio parere, più importanti, ai quali ho avuto l’onore di partecipare: quello di piazza San Nazaro in Brolo a Milano e la Casa Miggiano a Otranto.

Umberto Riva. Foto: Nicolò Parsenziani.

Questo anche perché ritengo che ricordare un grande maestro, un architetto molto particolare, sia importante; questo ricordo deve avvenire, appunto, attraverso la sua architettura, proprio perché è giusto far conoscere e diffondere il suo operato.
Però, vorrei anche precisare che una delle sue doti fondamentali, oltre al suo talento straordinario, sia come architetto che come pittore, è stata il suo essere profondamente “umano”: hanno parlato di lui come di un architetto gentile; sì, sicuramente la sua gentilezza e la sua signorilità lo hanno contraddistinto e tenuto un po’ al di fuori di certi roboanti eventi mondani, ma ciò non toglie che, fortunatamente, soprattutto negli ultimi anni, sia stata riconosciuta la sua grandezza, ma, soprattutto, è stata conosciuta la sua architettura, i suoi molteplici progetti, uno diverso dall’altro, ma uno in continuità con l’altro, perché unico è stato il loro metodo progettuale.
Il metodo che lui ha appreso da Carlo Scarpa da Albini, da Frank Lloyd Wright, da Le Corbusier.
Perché nel suo studio si respiravano proprio gli insegnamenti di questi grandi maestri che lui filtrava attraverso la sua creatività e la sua ideazione personale. Sicuramente un metodo quasi totalizzante, memore di quell’opera d’arte totale, memore del Bauhaus in cui creare architettura era inscindibile con le altre discipline artistiche. Potremmo dire, come avevo già scritto in una recensione del bel testo di Gabriele Neri sull’opera di Umberto Riva (qui), che Riva è stato l’ultimo esponente del Movimento Moderno e, comunque, colui che ha in qualche modo proseguito quella strada, ovviamente, attraverso la declinazione del suo linguaggio.
Inoltre, vorrei aggiungere che quello che ha contraddistinto il valore della sua personalità è l’essere stato un grande essere umano, ed è proprio su questa sua umanità, vorrei sottolinearlo, che si fonda proprio la “profondità” estrema della sua architettura e del suo metodo di progetto che ha insegnato a tutti noi suoi collaboratori.
Quindi, ritengo che, per ricordare e, soprattutto, per diffondere l’architettura di questo geniale e straordinario architetto, che purtroppo ci ha lasciato, dobbiamo certamente diffondere le sue opere. A mio parere, sono due i progetti realizzati, fondamentali per capire il suo metodo progettuale, per comprendere il suo approccio in cui una relazione esiste sempre!, ed è vitale e creativa, tra architettura e natura: Casa Miggiano ad Otranto e piazza San Nazaro in Brolo a Milano.

Umberto Riva, Casa unifamiliare, Otranto, 1991, coll: G. Borella, P. Froncillo, F. Riva. Piante e sezioni.

Casa Miggiano, Otranto
L’architettura di Umberto Riva ha il sentore che la ricerca dell’architettura si determini oggi a partire da un problema di configurazione spaziale e che l’utilizzo di pochi vocaboli comporti una maggiore eloquenza della composizione in architettura.
Per questo nei suoi progetti, ed in particolare in questo ad Otranto, si dichiara l’attenzione agli elementi base della costruzione spaziale quali luce e colore.
La definizione di una precisa Forma, risultante di continui avvicinamenti o processi conoscitivi, avviene attraverso meticolosi sviluppi di un’idea iniziale; come se attraverso i suoi schizzi si volessero sondare differenti relazioni con il sito e con le richieste del programma funzionale, che alla fine del progetto creativo, possano raggiungere una sintesi.
Tra queste, la relazione con il paesaggio appare la prioritaria, e si declina nella misura che si vuole dare al sito, in cui l’edificio si posiziona; cioè, attribuendo una nuova trasformazione spaziale al contesto, determinata dal dialogo che l’edificio è in grado di instaurare con il luogo, mediante la sua disposizione spaziale.

Umberto Riva, Casa Miggiano, Otranto, 1990-96. Veduta del soggiorno. Foto: Giovanni Chiaramonte.

Questo edificio di Umberto Riva è collocato sulla sponda opposta alla Otranto antica ed ha di fronte il mare.
La visione del mare e della sponda opposta detta le regole delle aperture all’edificio, perché il paesaggio viene ritagliato, incorniciato, e la nostra esperienza percettiva e sensoriale è differente ad ogni nostro movimento all’interno dell’edificio.
La progettazione di una finestra, comporta sempre la definizione di molti tipi di finestre: cioè, molteplici esperienze percettive tra noi ed il paesaggio, esperienze emozionali esperienze compositive e molteplici modi di ingresso della luce e di conseguenza molteplici dispositivi spaziali idonei al tipo di luce che si vuole avere all’interno dell’edificio.
Ogni apertura non è mai un elemento banale, ritagliare una finestra nella facciata di un edificio non è un’operazione banale: le dimensioni date, che non sono il numero, ma relazione e proporzione, creano un ritmo e provocano, sul resto degli elementi che compongono la costruzione, alterazioni e modifiche, tensioni.
Se in alcune opere Le Corbusier ricercava nel rapporto tra architettura e pittura una struttura profonda che si rendesse percepibile, per Umberto Riva la Forma rappresenta la struttura più semplice, quella costruzione di spazio che include le tantissime ragioni alle quali la costruzione vuole rispondere; la forma ha valore di riunificare quello che in partenza risulta separato.

Umberto Riva, sistemazione della piazza San Nazaro in Brolo, Milano. Foto: Guido Morpurgo.

Piazza San Nazaro in Brolo a Milano
La sistemazione di piazza San Nazaro in Brolo ci interessa in quanto rappresenta il tentativo di rendere tangibili, nella trasformazione spaziale, le potenzialità insite e latenti nel luogo.
La natura del luogo, che precede l’intervento di trasformazione, non viene negata bensì ordinata all’interno di una nuova articolazione spaziale, che definisce da una parte la natura di passaggio tra la via Festa del Perdono e del Corso di Porta Romana, tra i percorsi che collegano il centro di Milano alla cerchia dei Navigli e, dall’altra, la sua natura di piazza.

Umberto Riva, sistemazione della piazza San Nazaro in Brolo, Milano. Pianta e prospetto.

Il tempo dello stare, deve convivere, mediante il progetto, con il tempo del passaggio, e ciò si traduce nella caratterizzazione delle parti di cui si compone la piazza, che danno forma ai movimenti dell’uomo nello spazio:
– la piazza stessa, che viene definita da un’ampia pavimentazione in porfido a correre;
– alcuni manufatti, come i paracarri in ghisa e in pietra, che definiscono il luogo di attesa dei mezzi di trasporto pubblico;
– il monumento di San Ulderico, che ritrova un suo ruolo, all’interno della piazza grazie a un unico nuovo basamento e a una nuova e decentrata posizione;
– il nuovo sagrato della chiesa, che restituisce al volume di Bramantino una nuova scala architettonica, la cui forma viene costruita a partire dalla conoscenza delle quote del terreno esistenti;
– la caditoia in granito, che risolve la raccolta dell’acqua piovana e che definisce il collegamento tra un boschetto di bagolari – o celtis australis – e il nuovo sagrato;
– la griglia di areazione della metropolitana, che viene trattata come fosse uno scavo archeologico, come fosse il livello più profondo della piazza.
La ricerca, inoltre, si arricchisce nella elaborazione di manufatti e sculture che popolano la piazza San Nazaro, come, ad esempio, le sequenze dei paracarri in ghisa, che regolano il passaggio delle automobili, e i due paracarri in granito del sagrato, che vogliono diventare “oggetti a reazione poetica” presentandosi come personaggi che dialogano tra di loro dando nuove proporzioni allo spazio che noi tutti attraversiamo.
Questo progetto è una ricerca, la ricerca di un Tutto che sostenga le nostre trasformazioni spaziali e che sostenga i nostri tentativi di conoscenza del mondo e comporti la necessità di uno spazio che unisca e che separi nel medesimo tempo.
La definizione spaziale di questa Piazza, infatti (e ci sono tantissimi vuoti urbani che necessiterebbero nel centro di Milano, e non solo, un’analoga definizione), rappresenta un approccio progettuale che parte dal regolare ciò che preesiste al nuovo intervento di architettura, presupponendo che ascoltare il sito significhi accettare il reale e la sua compresenza di opposti.