Dubai: la città nel deserto di Rub al-khali negli Emirati Arabi Uniti, ideata dagli Sceicchi della dinastia Al Maktoum.
Arcosanti: la città nel deserto dell’Arizona, Stati Uniti d’America, ideata dall’architetto italiano Paolo Soleri.
L’accostamento è quantomeno acrobatico e, come spesso capita nei nostri percorsi di apprendimento, basato sulla pura casualità: al rientro da un recente viaggio a Dubai, in cui, dopo averla studiata per anni, ho potuto verificare sul campo questa strabiliante realtà urbana, ho assistito alla proiezione del film Ask to the sand che racconta il viaggio del regista Vittorio Bongiorno con il figlio nella città dell’arcologia (neologismo tra architettura ed ecologia).

Vista dal Burj Khalifa. Foto: ©Mariola Peretti.

Nulla di più diverso e incomparabile se non per pochissimi aspetti che le accomunano.
Il primo aspetto è il deserto: sono città di fondazione, cresciute dal nulla.
Entrambe partono da una tabula rasa e, proprio per questo, consentono ragionamenti netti sul destino di quella meravigliosa invenzione che continuiamo a chiamare città.
Il secondo aspetto in comune è che entrambe hanno una vita brevissima misurabile in una manciata di decenni: lo sviluppo che hanno avuto può quindi essere riferito ad un arco temporale comparabile.
Comune è l’obiettivo di dare forma al futuro, parola che accompagna da protagonista entrambe le narrazioni dettate dall’ambizione di porsi come manifesti che annunciano la strada possibile: nella loro totale diversità possiamo leggerli come paradigmi filosofici e metodologici estremi.
Aldilà di questi pochi aspetti comuni, tutto il resto è esattamente agli antipodi a partire dagli esiti reali che questi pochi decenni hanno prodotto: 100 abitanti ad Arcosanti, quasi 4.000.000 a Dubai.

Vista dal Burj Khalifa. Foto: ©Mariola Peretti.

Arcosanti: una crescita lenta e faticosa che mette la coscienza umana al centro dell’idea di abitare: non può esistere un progresso reale della città fisica senza un parallelo progresso reale delle persone che la abitano.
È l’ultima tappa evolutiva della città illuminista del mondo occidentale: un percorso di 2 secoli dentro cui lo sviluppo della forma urbis, ha marciato insieme all’avanzamento delle frontiere del progresso sociale, dei diritti e dei doveri che definiscono, regolandolo con l’obiettivo ideale di uguaglianza e giustizia, l’equilibrio possibile dei poteri nei rapporti di coabitazione tra gli individui.
In nome della ragione laica che non abbassa gli occhi dinnanzi alla crisi sociale e ambientale in cui ci troviamo, Arcosanti è una proposta di rifondazione filosofica e culturale che include una nuova e irrinunciabile consapevolezza ecologica, lasciando la persona al centro del mondo come soggetto responsabile e determinante in ogni esito.
La ricchezza consiste non nell’avere di più, ma nell’aver bisogno di meno”, sosteneva Soleri auspicando una nuova e lucida sobrietà.

Al Jadaf, Dubai Canal. Foto: ©Mariola Peretti.

Dubai: una crescita vertiginosa, velocissima, affidata ai meccanismi decisionali concentrati e per molti versi efficacissimi di un potere autocratico e assoluto che deve rendere conto solo a sé stesso, svincolato non solo dal fine di includere la maggioranza degli abitanti in un quadro allargato di diritti, ma fondato proprio sulla negazione dei diritti basilari e sullo sfruttamento brutale di una vasta maggioranza.
Una città che deve il suo successo alla rimozione totale dell’idea di polis, capace di mettere in scena la forma ideale del neoliberismo attuale, del consumo sfrenato, del lusso, dell’edonismo e della disuguaglianza.

Burj Al Arab. Foto: ©Mariola Peretti.

100 abitanti – 4.000.000 abitanti: esiti quantitativi dai quali si deduce senza troppo approfondire la forza del paradigma che sta vincendo, così velocemente e impressionantemente da rendere del tutto teorica e immaginaria l’esistenza di una gara possibile.
Colpisce il potere attrattivo che Dubai esercita sul resto del mondo mostrando una totale coincidenza di intenti tra sistemi democratici e dittatoriali, pratiche lecite e illecite, arte e musei, cultura e alta formazione, turismo e loisir, il meglio della tecnologia e della ricerca… tutti stanno partecipando alla costruzione fantasmagorica della “città più felice del mondo”.
Tutti accorrono al richiamo della sirena emiratina e le differenze coabitano fluidamente sciogliendosi sotto il sole a picco del deserto, attratte dal magnete del denaro nel vortice della crescita all’infinito.
Tra gli estremi di queste 2 città nel deserto si collocano le declinazioni intermedie e più sfumate delle città globali che nel cangiante panorama attuale stanno elaborando nel bene e nel male, in una direzione o nell’altra, le risposte alla crisi.
Una cosa comunque appare evidente: il mondo si sta dubaizzando.

Dubai Marina. Foto: ©Mariola Peretti.

Di seguito alcuni frammenti di ragionamento che penso sia interessante porre sul tavolo della discussione.

TABULA RASA
È più facile iniziare dal nulla.
Ritrovare un punto zero da cui partire evitando lo slalom tra i paletti di ciò che ci precede e ci vincola. A volte così densi e intricati da rendere la fatica del percorso insostenibile. Come nell’Ersilia di Calvino in cui i fili di legami troppo densi impediscono ogni movimento costringendo gli abitanti a spostarsi e a ricominciare altrove.
Fondare ex novo piuttosto che ricucire, che modificare, che mettere il bisturi in tessuti di sovrapposizioni e strati che confliggono.
Il deserto è un’opportunità e un sogno.
Nel deserto c’è lo spazio fisico e mentale per la sperimentazione: non ci sono abitudini già cementate.
Il passato con i suoi giganti e le sue macerie non esiste: nel deserto puoi fare i conti col futuro.

Il gigante proietta la sua ombra. Foto: ©Mariola Peretti.

LIMITE
A Dubai il futuro è illimitato: la tabula rasa è a disposizione della volontà di potenza della nostra specie e dei suoi record. Per molti versi Dubai è antica, interpreta senza filtri la bulimia umana che sfida il pianeta e che ci ha condotto sull’orlo della crisi che mette a dura prova la sopravvivenza dell’umanità stessa.
A Dubai si sta realizzando un presente ecologicamente devastante camuffato dalla prospettiva del futuro possibile.
Arcosanti è la concreta realizzazione del limite: un limite autoimposto, una nuova frontiera della coscienza.
La sfida è molto più complessa: Arcosanti è il terreno non per fondare una nuova città con hybris antica, ma per rifondare la nostra cultura umana in base alle nuove consapevolezze ecologiche.
Dubai è edonista, Arcosanti calvinista.

On the road. Foto: ©Mariola Peretti.

COMPETIZIONE VERSUS COOPERAZIONE
Quella che si incontra a Dubai è la rappresentazione di un torneo medioevale di soldati che si sfidano su un campo di battaglia dando spettacolo di sé, celebrando la loro forza e le loro armature / bardature sfavillanti.
Una gara di forza, competitiva, muscolare, sfidante, narcisista, alla continua ricerca del record.
I soldati sono i grattacieli, il più alto, il più storto, il più spettacolare, il più disassato, il più sbalzato… Dubai è un matrimonio tra medioevo e iper tecnologia.
È un carosello che va in onda ad ogni ora, di giorno e di notte.
Che non ha fine perché i record vengono continuamente superati.
Noi, negli Emirati Arabi Uniti, non abbiamo una parola come ‘impossibile’; non esiste nel nostro lessico. Tale parola è usata dai pigri e dai deboli, che temono le sfide e il progresso. Quando qualcuno dubita del suo potenziale e delle sue capacità e non ha fiducia in sé stesso, perderà la bussola che lo porta al successo e all’eccellenza, non riuscendo così a raggiungere il suo obiettivo. Richiedo a voi, giovani, di insistere sul numero uno”, sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum.

Museo del futuro. Foto: ©Mariola Peretti.

FELICITÀ VERSUS CONSAPEVOLEZZA
Lo sceicco è presente ovunque con la “sua faccia”, lungo le strade, nei musei, nei mall commerciali e nei grandi centri del loisir: come un buon padre di famiglia dispensa continuamente pillole di filosofia, chiavi di lettura, comandamenti.
La narrazione è ispirata dall’ottimismo nel futuro, dal coraggio e dall’orgoglio: il fine è quello della felicità.
Fece notizia quando nel 2016 lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum istituì il ministero per la felicità affidandone la conduzione a una donna ventiduenne.
La felicità è contenuta nell’edonismo del consumo che è la chiave di tutto.
La città è un grande spettacolo, sfavillante, iper tutto, bulimico: abitare significa prendere parte con gratitudine allo spettacolo.
La dimensione è quella del sogno che si realizza senza mai compiersi definitivamente: lo status è quello del wow! dello stordimento perenne, dell’abbuffata esperienziale, della blurring perception.
C’è sempre un riflesso, una sovrapposizione, una ridondanza e un abbaglio nella percezione della realtà di Dubai: lo sguardo è sollecitato da immagini che si inseguono, incastrandosi l’una nell’altra e sovrapponendosi in un’unica strisciata sfocata e in movimento.
Ci si sente sempre un po’ soli e in superficie, si avverte un gap che non si riesce a colmare, non c’è spazio per l’approfondimento e la sfuocatura è pressoché perenne: riguarda gli spostamenti necessari per superare distanze cocenti e non pedonabili, la soverchiante scala degli edifici, l’esperienza dei racconti che ti vengono propinati nei musei turisticizzati come il Museo del Futuro o nei luoghi dell’intrattenimento / esposizione / loisir musealizzati, (il confine è ormai labilissimo) dove la visita “guidata” ti accompagna lungo percorsi esplicativi obbligati e ormai quasi sempre virtuali che sfiorano, una dopo l’altra, questioni molto diverse tra di loro.
Alla città materiale, costruita sfruttando la manodopera a bassissimo costo degli immigrati, si sovrappone quella immateriale fatta di luci e narrazioni simulate: forme arcaiche di schiavitù si coprono di un racconto virtuale che va in direzione opposta, raccontando il sogno del piacere.
Le tecnologie più avanzate, le nuove frontiere dell’AI e della smart city, mostrano la loro totale disponibilità ad essere ancelle perfette dei poteri autocratici del Golfo che stanno investendo moltissimo in questa direzione: in Arabia nasce Saudipedia la piattaforma monodiretta col compito di raccontare la storia e l’identità del popolo saudita.
Dubai è in gara per primeggiare in questo nuovo mondo antico che sta barattando la libertà e i diritti col sogno della felicità.

Norman Foster, Expo 2020. Foto: ©Mariola Peretti.

ARCHITETTURA E CITTÀ
A Dubai puoi trovare il meglio della tecnologia costruttiva: gli oltre 200 grattacieli costruiti sulla sabbia in un ambiente desertico, allineano nei fatti una vasta casistica di conquiste tecniche che, collocate entro la filosofia di fondo che esalta l’orgoglio della sfida, del record e della crescita infinita, hanno reso possibili risultati straordinari.
A Dubai hanno lavorato e continuano a lavorare i grandi studi di progettazione e le archistar globali che contribuiscono in maniera determinante all’allestimento del grande spettacolo della città producendo i record del suo marketing trionfalistico. Una sorta di esperanto urbano che realizza la Sim City.
La città rincorre i suoi pezzi e le sue zone speciali disseminate nella sabbia del deserto, con distanze dilatatissime tra un punto e l’altro: i tassisti non riconoscono gli indirizzi e i percorsi.
I frammenti di città entrano nel mare creando isole artificiali che distruggono la barriera corallina ma amplificano la linea di costa che è quella col più alto valore immobiliare.
Di certo a Dubai l’architettura come il re è nuda, perde completamente il velo della sua presunta neutralità per mostrare senza ipocrisia il suo essere strumento fondamentale del potere e della sua ingiustizia sociale e ambientale.

Dentro il Dubai Mall. Foto: ©Mariola Peretti.

MAGNIFICENZA
La magnificenza di Dubai colpisce: è fatta di sfarzo, materiali pregiati, marmi e brillii, giardini verdissimi e fioriti nel deserto, fontane e acqua generosamente zampillante. È fatta di grandiosità.
Tutto tirato a lucido per la presenza costante di eserciti di manutentori immigrati che puliscono tutto, che puliscono sempre: quello che noi europei chiamiamo decoro è a Dubai presente in ogni luogo, mentre il degrado non si rappresenta mai.
Il potere autocratico mantiene tra i suoi compiti essenziali quello di produrre magnificenza e con essa di rappresentare la propria. È vero, da queste parti gira moltissimo denaro, ma quella di investirlo in magnificenza è una scelta che centra una visione.
Aldilà di ogni ragionamento sul gusto e i risultati non può sfuggire il paragone con le città della storia e della democrazia: quale è la magnificenza che vogliono rappresentare?

Palm Jumairah. Foto: ©Mariola Peretti.

LA CATENA
C’è l’architettura che è contenuta nella città, che è contenuta nell’ambiente, che è contenuto nel pianeta: ciascuna di queste entità non è chiusa in sé, vive in relazione con le altre, in parte le determina e in parte ne è determinata.
Ciascuna di queste “scatole” contiene esseri viventi, umani, animali, piante, virus e batteri… determinando in molti modi e con esiti diversi le loro possibili relazioni. Nel bene e nel male. Con traiettorie prevedibili e spesso imprevedibili.
La nostra specie, attraverso un percorso di emancipazione lento e ancora del tutto imperfetto, ha ora la possibilità di capire che l’unico l’obiettivo possibile per la sua stessa sopravvivenza è quello di rispettare la catena alla ricerca di un nuovo equilibrio.
Ma questo è il pensiero di Soleri: il mondo si sta invece dubaizzando.

Verso il Dubai Mall. Foto: ©Mariola Peretti.

E QUINDI?
Nel recente viaggio negli Emirati mi hanno guidata le parole di Rem Koolhaas: “Forse una delle cose più significative che possiamo fare è guardare Dubai molto da vicino, al di là dell’hype e dell’esagerazione, e forse poi identificare un certo tipo di bellezza che è presente qui (…) che potremmo non essere in grado di abbracciare, ma che dobbiamo comunque prendere sul serio”.
Al ritorno, (ancor di più dopo aver visto il film Ask to the sand) ne sono assolutamente convinta: dobbiamo prenderla molto, molto sul serio, perché in ballo non c’è solo il destino di una città, ma c’è il tramonto di un sistema di valori profondo, umanistico e laico. A mio modo di vedere in ballo c’è la fine di quanto di più magnificente l’umanità abbia fin qui prodotto.

Lo sfondo di milioni di scatti. Foto: ©Mariola Peretti.