Un mese fa ci lasciava Yona Friedman, il 20 febbraio del 2020, probabilmente per iniziare un nuovo viaggio attraverso le sue infinite città spaziali. Nella sua lunga esistenza, 96 anni, ha vissuto molte vite. Era un architetto per titolo, ma non lo si può definire un architetto come lo si intende comunemente. È sempre stato poco interessato a costruire edifici, ritenendo più importante lavorare sul modo di percepire e pensare l’architettura e la città. Oltre ad occuparsi di architettura è stato urbanista, artista, fisico, filosofo, sociologo, soldato, muratore, designer, regista, professore, funzionario UNESCO, saggista, utopista e tanto ancora.

Immagine: © ADAGP-Yona Friedman.

Senza alcun dubbio fin dai suoi primi lavori degli anni ’50 il suo pensiero è sempre stato profondamente innovativo, sia rispetto alla tradizione dei maestri della modernità, sia in relazione alla visione post-moderna del modo di concepire la città e lo spazio abitabile, che si avrà negli decenni successivi. I suoi lavori trovano fin da subito voce critica contro l’ortodossia modernista della Carta di Atene e dei seguaci di Le Corbusier, affiancandosi alle operazioni di Hansen con la sua teoria dell’Open Form e alla New Babylon di Constant. Friedman dà risposta al quesito che Aldo Van Eyck e Alison Smithson avevano posto nel 1962: “Possono gli architetti rispondere alla domanda sociale di pluralità? (…) Se la società non ha forma, come possono gli architetti costruirne la controforma?”(1).
E lui fin dai suoi disegni della Ville Spatiale, prova proprio a disegnare una città “controforma”. Difatti la sua Ville Spatiale non è un modello architettonico di una visione urbana, ma è piuttosto un programma (definito nei particolari in Utopie Realizzabili), per una società pluralista, costruita sulla molteplicità, invece che sulla omogeneità. Un’ampia cornice infrastrutturale estendibile all’infinito, che propone un ordine dinamico per il collettivo.

Immagine: © ADAGP-Yona Friedman.

Come ci racconta lui stesso, la Ville Spatiale “è il risultato di una urbanistica indeterminata; in altre parole essa non ha da seguire un piano, ad eccezione di quello dell’infrastruttura (di cui consente ogni trasformazione possibile). I volumi che creano gli spazi della città spaziale non sono disposti in anticipo: si trasformano incessantemente col tempo”(2).
Una città che cresce e si sviluppa non su tre, ma su quattro dimensioni con una griglia spaziale che si estende in altezza, in orizzontale e in profondità dove al suo interno vivono i suoi creatori: l’umanità stessa. I cittadini, gli “urban user”, sempre pronti a trasformare, a distruggere e a ricostruire continuamente il loro mondo, rispettando il proprio passato. E la quarta dimensione? La quarta dimensione è il tempo.

Immagine: © ADAGP-Yona Friedman.

Uno degli aspetti sottovalutati di questi disegni è che non mostrano un’immagine statica ma solo un momento, un’esperienza temporale indefinita, il frame di una città in continua trasformazione e mutazione, non di certo un progetto urbano finito. Il valore temporale è difatti uno dei fattori più interessanti e poco indagato del lavoro di Friedman.
La sua Ville Spatiale è una città che si forma come una sorta di nuovo firmamento, un cielo che ogni cittadino abita e disegna secondo le proprie esigenze. Il suo è un invito poetico a colonizzare il cielo, e come il cielo la sua città cambia e si trasforma continuamente, introducendoci verso una architettura non necessaria che si dissolve nell’aria, ed in essa e con essa si confonde.

Immagine: © ADAGP-Yona Friedman.

La città e l’architettura, per lui, non sono più pensate come oggetti immutabili del tempo, ma come processi temporanei che si adattano continuamente alla realtà immanente, dispositivi mobili per una società mobile.
Quello che introduce Friedman è una nuova forma di relazione tra materico e immaterico, legata alla politica dello sharing e della condivisione democratica dello spazio. Senza dubbi il suo è un pensiero e un atteggiamento verso la realtà e l’architettura prettamente gassoso, che dà vita per l’appunto ad un universo spaziale dinamico, capace di modificare lo spazio in ogni situazione possibile, che ritroviamo anche all’interno della teoria dell’Architettura Gassosa(3).
L’eredità che Friedman ci lascia è enorme, dandoci la possibilità di indagare il futuro sotto prospettive sempre nuove e innovative. Il maestro ci ha lasciato, ma rimarrà per sempre una guida per tutti noi architetti e artisti contemporanei, per costruire insieme a lui e grazie a lui, un mondo migliore.

Note
1. Aldo Van Eyck, in Alison Smithson, a cura di, Team 10 Primer 1953-62, in “Architectural Design”, dicembre 1962, p. 564.
2.
Yona Friedman, L’architettura mobile, Verso una città concepita dai suoi abitanti, ed. Paoline, 1972, pp. 138-39.
3. E
mmanuele Lo Giudice, Architettura gassosa, per un nuovo realismo critico, ed. 2018.