Una strada come principio
La strada come principio ordinatore della maggior parte delle città Italiane, rappresenta da sempre uno degli elementi fondativi della concezione teorica riferibile a città e territorio, sia nelle diverse forme della sua rappresentazione che nella concreta e pratica necessità di essere indirizzati a luoghi e specifiche destinazioni e monumenti della città storica. Al nome “via” così come al nome “porta”, associamo spontaneamente luoghi conosciuti o sconosciuti, destinazioni e attività con forme mentali e mnemoniche più o meno precise, “mappe” appunto, dalle quali ci lasciamo guidare e consigliare quotidianamente verso le nostre mete urbane ed extra-urbane ed ora anche nella globalizzazione. Così l’esperienza della strada e quella dell’architettura si corrispondono. Origine e destinazione sono i dati sensibili per risolvere l’enigma che la mappa rappresenta battezzando vie e strade differenziate per qualità (Corso, Largo, ecc.) con nomi e spesso nome e cognome di personaggi famosi o presunti tali, per dar lustro alla città al prezzo di una targa marmorea o di una meno nobile materia o come in questo caso eleganti architetture eclettiche. La strada è in primo luogo un insieme di memorie e sentimenti.

Domenico di Michelino, Dante Alighieri illumina Firenze col suo poema, tempera su tela, Santa Maria del Fiore, Firenze, 1465.
Alla base del dipinto è inserita la seguente iscrizione in latino: QUI COELUM CECINIT MEDIUMQUE IMUMQUE TRIBUNAL / LUSTRAVITQUE ANIMO CUNCTA POETA SUO / DOCTUS ADEST DANTES SUA QUEM FLORENTIA SAEPE / SENSIT CONSILIIS AC PIETATE PATREM / NIL POTUIT TANTO MORS SAEVA NOCERE POETAE / QUEM VIVUM VIRTUS CARMEN IMAGO FACIT.

Lo scorrere, lo stare, che il termine latino “via” presuppone, insieme al suo equivalente germanico “weg”, si sovrappongono nella toponomastica al termine “strada” nel senso di via ben sistemata, praticabile “stratificata e filtrante” sia a piedi che con carri e quadrupedi. Fanno in questo caso testo l’Urbanistica e la Tecnica Romane che per ragioni di dominio militare ed economico hanno nei secoli tracciato le principali vie di transito attraverso l’Europa. Questa era ancora tutto sommato l’idea Neoclassica della strada che spinse la commissione di Ornato Milanese in Epoca napoleonica a tracciare slarghi e intersezioni rettilinee all’interno delle contrade milanesi in corrispondenza delle antiche porte e, in un certo senso, ad anticipare l’odierna via Dante milanese.

Quando le antiche strade entrano nella città contemporanea
“Tutte le strade portano a Roma” si è soliti dire, ma nel caso del libro e dell’approfondita ricerca condotta da Pierfrancesco Sacerdoti sulla via Dante a Milano, emergono per suo merito, pregevoli scoperte d’archivio, sistematizzate dallo studioso (e guida competente, egli stesso), che sembrerebbero al contrario condurci idealmente nel loro eclettico ed ellittico vagare, prima a Parigi, poi a Vienna e infine a Firenze.
Quelle stesse strade, il loro incerto rappresentarsi in architetture e facciate, con questa ricerca e la sua pubblicazione, ci riportano al punto di partenza in apparenza così distante da noi e insieme così vicino, a quella originaria “fiducia nella Speculazione edilizia” che caratterizzò la Metropoli Insubrica della fine dell’800.

Cesare Beruto, Progetto del piano regolatore della città di Milano, versione iniziale (1884).

Quella stessa fiducia, rigenerata dai capitali dei fondi di investimento oggi è riedita in modo parossistico in altrettanti capitoli di un romanzo di formazione dell’allora illuminata Borghesia ottocentesca, attualmente sedotta dal proprio ruolo manipolatore di capitali, cemento e forme architettoniche neo-eclettiche. Quasi a voler dimostrare in modo aggressivo e pervicace la propria arroganza, per la sottomissione per la omologazione e l’annientamento della città storica.
A fronte della strada come transito e approdo dei commerci tra estremi capolinea del territorio “sulla via delle Genti” (così acutamente descritta e rappresentata da Giuseppe de Finetti nel fondamentale Milano costruzione di una città), la Strada lombarda fu caricata nei secoli di ulteriori necessari attributi come: via d’acqua, strada-ferrata, via pedonale, via del “dolce far niente”, della cultura e del tempo libero.
L’approfondimento e lo studio sulla via Dante attuale, mentre essa si auto-celebra e trasforma oggi insieme al Cordusio con arredi e trasformazioni funzionali, la fa risaltare come il tardo esempio di una urbanizzazione ottocentesca ormai estraniata (1892), ora “valorizzata” con la pedonalità più piatta e commerciale per il turismo di massa, paradigma di una asserita permanente neutra continuità e compatibilità con l’originario carattere e decoro.

Luigi Broggi, Casa Broggi, via Meravigli 2 (1888-89), vista dell’angolo tra via Meravigli e via Dante, xilografia di Ernesto Mancastroppa da un disegno di A. Petralta (“L’Illustrazione Popolare”, 1891).
Sul retro della pagina troviamo, tra l’altro, il seguente testo: “La nuova ‘Via Dante’ a Milano. Dal 1860 a oggi, Milano è trasformata. Le casupole che il delicato novelliere milanese Giulio Carcano descriveva così bene, ponendovi le sue fanciulle pallide e malate, sono in buona parte demolite e hanno lasciato il posto a grandi case nuove. Napoleone I, a cui Milano deve tanto, voleva aprire una via che dall’Arco del Sempione andasse a finire nella piazza del Duomo. Se non proprio questa via, ideata dal grande conquistatore, un altra simile, press’a poco nella stessa direzione, fu aperta e compita testè: la Via Sempione, che fra poco sarà ribattezzata in Via Dante. È certo una delle più belle di Milano, con maestose case d’abitazione e negozî imponenti. Ve ne presentiamo un disegno, preso dall’imboccatura della via stessa. Il palazzo che vedete campeggiare in angolo, fu costruito dall’architetto Broggi, e ricorda altri consimili che abbelliscono Parigi.”.

Planimetria di via Dante con indicazione degli edifici e dei relativi lotti, 1892 (“L’Edilizia Moderna”, aprile 1893).
Legenda: 1. Francesco Bellorini, Ippolito De Strani, casa di civile abitazione e di commercio, via Cordusio 2, via Santa Maria Segreta 2, via Gabrio Casati 1 (1889-90); 2. Francesco Bellorini, Casa Savonelli, via San Prospero 1 (1888-89); 3. Francesco Pugno, Casa Longoni Castelli, via Santa Maria Segreta 6 (1888-89); 4. Luigi Franchi, Casa Castini, via Dante 4 (1887-89); 5. Luigi Broggi, Casa Broggi, via Meravigli 2 (1888-89); 6. Antonio Comini, Casa Cavalli, via Rovello 1 (1887-89); 7. Antonio Comini, Casa Celesia, via Dante 7 (1887-89); 8. Andrea Ferrari, Casa Cicchieri, via San Tomaso 7 (1888-89); 9. Carlo Formenti, casa di civile abitazione e di commercio, via Dante 9 (1889-90); 10. Giovanni Giachi, casa di civile abitazione e di commercio, via San Tomaso 8-10 (1890-91); 11. Alfredo Chiodera, casa di civile abitazione e di commercio, via Giulini 3 (1890-91); 12. Romeo Bottelli, Casa Bottelli, via Dante 12 (1891-92); 13. Giuseppe Pirovano, Casa Pirovano, via Giulini 2 (1888-89); 14. Romeo Bottelli, Francesco Portaluppi, casa di civile abitazione e di commercio, via Dante 14 (1889-90); 15. Antonio Citterio, casa di civile abitazione e di commercio, via Dante 15 (1889-90); 16. Giovanni Battista Casati, Giuseppe Magni, Antonio Tagliaferri, casa di civile abitazione e di commercio, via Dante 16 (1890-91); 17. Giovanni Battista Casati, Giuseppe Magni, Antonio Tagliaferri, casa di civile abitazione e di commercio, via Camperio 14 (1889-90); 18. Luigi Broggi, Casa Folatelli Terruggia, via Pozzone 5 (1887-88); 19. Giovanni Battista Casati, Giuseppe Magni, Antonio Tagliaferri, Casa Casati Magni, via Camperio 16 (1887-89).

La via Dante e le condizioni al contorno
Il lavoro di ricerca e ordinamento di Pierfrancesco Sacerdoti, rielaborazione della tesi di dottorato in Composizione architettonica, svolta presso il Politecnico di Milano negli anni 2007-2011, ben documenta il tema, l’epoca e lo spirito del primitivo sventramento di via Dante lungo l’asse del Sempione, lo rappresenta con analisi e rilievi originali dell’autore, attraverso i quali emerge la consapevolezza che il metter mano al corpo della città debba in ogni caso legittimarsi attraverso l’architettura come forma tecnica e progettuale, in grado di reggere il confronto con un’“Edilizia moderna” dai requisiti civili, pari a quella delle altre capitali Europee.
Ma così non fu pienamente, vuoi per la morfologia degli isolati esistenti irregolari e ciechi, vuoi per gli impianti distributivi e tipologici condizionati da una morfologia da quinta urbana. Deboli le interconnessioni tra le scelte legate alla pianificazione del centro urbano e le demolizioni e le ricuciture degli isolati medioevali centrali.
Anche se lo stato delle cose all’epoca, in una forma più controllata e di pregio, sembrava voler risarcire la città dalla ricomposizione amministrativa e daziaria operata dal Piano ampliamento della città con l’inglobamento dei Corpi Santi operata dall’urbanista e ingegnere Cesare Beruto fuori dalle Mura spagnole.
La bella forma dai profili allineati, nell’ordine composito e omogeneo dei livelli secondo una manualistica eclettica, persisteva tuttavia altrettanto chiaramente nell’ossequio prevalente alla Rendita urbana, con il massimo sfruttamento dei fronti degli isolati, frammentati nei più imprevedibili e convenienti dei modi.

Mario Fosso
prof. Ordinario di Composizione architettonica e urbana, Politecnico di Milano
6 febbraio 2021