Permettetemi di fare una premessa a questa recensione.
Il tempo in cui si consuma il progetto sino alla realizzazione dell’opera in Riva è un’avventura straordinaria, perché parte da intuizioni di spazio e di forma sino ad approdare alla fisicità dell’architettura, attraverso un uso sapiente dei materiali. Sì, perché la sostanza e la grandezza insita nell’opera di questo coltissimo architetto risiedono nella sintesi tra lo spazio di Le Corbusier e la funzionalità dei maestri degli anni ’50, Albini, Scarpa, i BBPR… La forma che viene fissata nel dipinto di Umberto Riva si ritrova arricchita della sostanza sapiente del materiale in spazio e diventa ambiente. L’ambiente in cui tutti noi viviamo. Quando la forma raggiunge la vita degli altri, le loro abitudini, allora lì si ferma l’arte e l’architettura, così io ho interpretato il suo insegnamento, in quanto ho avuto l’onore di collaborare ad alcuni progetti, nel suo studio durante gli anni ’90. Poi c’è il Rapporto con la Natura, con il Paesaggio. Unica possibile sostanza del nostro mestiere, che diventa dunque il dare forma all’ambiente in cui tutti noi viviamo, senza alterare le condizioni in cui sorge, il nostro progetto ma assurgendo, invece, a dilatarne la poesia attraverso “la forma imperfetta e infinita” di cui ci ricorda Umberto Riva, richiamando Frank Lloyd Wright, secondo il quale “infinite sono le manifestazioni della natura”.
A mio parere potremmo dire, come avevo già scritto in una recensione al testo di Gabriele Neri sull’opera di Umberto Riva
(qui), che egli sia stato l’ultimo esponente del Movimento Moderno, comunque, colui che ha proseguito quella strada, ovviamente, attraverso la declinazione del suo specifico linguaggio.
Quello che lo ha contraddistinto è stata la sua umanità, che si fonda sulla “profondità” estrema della sua architettura e del suo metodo di progetto, che ha insegnato a tutti noi architetti contemporanei. Quindi io ritengo che per diffondere l’architettura di questo geniale e straordinario architetto, si debba diffonderne i progetti. Dunque, ecco a voi la mia Recensione.

Umberto Riva, Edificio residenziale, via Paravia, Milano, 1965-67. Foto: Alba Deangelis.

Quando si vede il libro per la prima volta, il desiderio di sfogliarlo è la prima sensazione…, ancora più emozionante in quanto Umberto Riva ci ha da poco lasciato. Si aprono le prime pagine e si viene invasi dalla Bellezza delle immagini presentate come fossero pagine rilegate di fogli in cui le Forme dello spazio e gli oggetti progettati da Riva assumono il valore di un taccuino “gigante” e denso di ricerca e approfondimenti. Tanti progetti che significano tante storie interpretate e fissate nello spazio, da questo nostro maestro, nel corso della sua lunga vita creativa. Quindi, la struttura e la composizione grafica del libro (editor: Claudia Mion; grafica: Spassky Fischer) sono avvincenti e tra i fogli gli accenti attraverso il colore, ci aiutano a comprendere la densità che il libro ha, grazie anche agli interventi di vari critici e conoscitori dell’architettura di Umberto Riva.
Maria Bottero, autrice del volume, che conosce l’opera più di chiunque altro, bene fa a mio parere a presentarci attraverso le belle immagini a tutta pagina, il lavoro profondo di Riva. La Forma del libro ha delle analogie con la musica di Ravel, infatti, scrive Maria Bottero: “I discorsi della Curatrice, dell’Artista e dei Critici giacciono quindi su diversi piani temporali (…) un flusso che, analogo al Boléro di Ravel, utilizza citazioni e ripetizioni”.

Due pagine del libro ©Editions Cosa Mentale – Caryatide.

Maria Bottero, Conclusioni in forma di premessa
Maria Bottero, in questo testo, ci racconta di quanto sia necessario, nella progettazione di Umberto Riva arrivare a un processo formale attraverso il disegno e a un rimando della pittura come a un retroterra di immagini ricche di riferimento primario. Riva, secondo l’autrice, accenna un metodo di lavoro empirico e quasi a posteriori, nonostante i molteplici riferimenti culturali.
Ci descrive di quanto sia grande l’approccio culturale di Umberto Riva, che lo porta addirittura a decodificare, a sperimentare e, soprattutto, a introdurre nella sua progettazione ricerche quali quelle di Carlo Scarpa.
Bottero ci ricorda che nei progetti di Riva avviene un capovolgimento metodologico, che considera la Forma e il Particolare come un punto di partenza anziché un punto di arrivo; mentre, un approccio alla Artigianalità del processo progettuale figurativo, proviene dall’insegnamento di Scarpa.
Se Scarpa sia diventato nel corso degli anni, un punto di riferimento per Riva, l’architettura di Umberto Riva stilisticamente e formalmente è molto lontana da quella di Carlo Scarpa, perché riacquisisce Fisicità e Memoria.
Bottero, nelle opere di Riva, vede una ricerca che lo porta ad avere un legame sempre continuo con l’Ambiente ed il Paesaggio che assurgono a diventare riferimento ed “esito esplicito o implicito del processo progettuale aperto”.

Umberto Riva, Casa Berrini, Taino, 1966-68. Foto: Alba Deangelis.

Mirko Zardini, I paesaggi di Umberto Riva
Mirko Zardini in questo testo esprime la distanza tra Umberto Riva e la produzione architettonica del “made in Italy”, che per tutti gli anni ’80 caratterizza molte architetture e design italiani, facendo notare quanto la sua esperienza si inserisca nella tradizione di Franco Albini e Carlo Scarpa. Egli mette in evidenza quanto la ricerca di Riva non dia mai niente per scontato, e, inoltre, sia una ricerca personale.
Ogni elemento della Sintassi compositiva e architettonica, secondo Zardini, per Riva significa la possibilità di scomporre e di vivisezionare, assemblandolo, ogni pezzo di architettura: un portico, un tetto, una corte. Secondo Zardini in alcune case, come quella di Otranto, o in spazi aperti come la piazza San Nazaro in Brolo a Milano, vi sono elementi spaziali di architettura, che vengono da Riva analizzati, decostruiti e successivamente riposizionati, disegnando il Paesaggio Urbano.

Umberto Riva, Scuola, Faedis, 1977-80. Foto: Alba Deangelis.

Pierluigi Nicolin, Per Umberto Riva
Nicolin ci racconta della “Tensione” tra la ricerca spaziale e la ricerca di una Qualità, nell’opera di Umberto Riva.
Nella ricerca dello Spazio, si inscrive, in un processo creativo molto personale un alternarsi di “Sperimentalismo” e Tradizione.
La ricerca di Umberto Riva per Pierluigi Nicolin, è da inscriversi all’interno della “Pluralità del Moderno”. Inoltre, la sua è una ricerca Formale Artistica e Spaziale di matrice Cubo/Futurista, e ciò è reso evidente nello spazio di tutta la Architettura di Riva, in tutti i suoi progetti.
Nicolin approfondisce l’approccio di tipo antropologico e fenomenologico della sua ricerca formale.

Umberto Riva, Chiesa San Corbiniano, Roma. Foto: Alba Deangelis.

Francesco Cellini, Quattro progetti Esemplari di restauro Urbano
Secondo Cellini, il progetto di Umberto Riva ad Ancona definisce una sorta di restauro degli accessi alla chiesa e inoltre Ri-contestualizza la Chiesa stessa. Naturalmente, il progetto di Umberto Riva per Ancona, intravisto nell’analisi di Cellini è proprio l’invenzione, l’innovazione all’interno del progetto stesso di restauro. La questione interessante è che Cellini evidenzia quanto, all’interno del progetto di Riva, si interpreti la struttura Metafisica del Luogo e quindi si tenda a inglobare questo spazio all’interno del progetto. San Ciriaco, cioè, all’interno della ricerca progettuale di Riva, viene restituita a un rapporto con “l’Infinito”, differenziandosi con il paesaggio circostante.
Nello scritto Cellini conduce una analisi di ogni singolo progetto: il progetto di Castellammare, di Vita, di Ancona e di Milano, soprattutto ne evidenzia il potenziale Dialogo con il Paesaggio specifico di ognuno di questi luoghi.
La questione interessante che pone l’architetto Cellini: l’approccio nei confronti del paesaggio di Riva non è un approccio aprioristico o un Metodo sempre ripetibile con gli stessi parametri, bensì un metodo di lavoro che non ha Regole né Vincoli materiali. Esso conduce alla costruzione della Sostanza, inizialmente magmatica poi poetica, del progetto.

Due pagine del libro ©Editions Cosa Mentale – Caryatide.

Marco Romanelli, Muovendo dalla Pittura: a colloquio con Umberto Riva
Marco Romanelli opera un’intervista ad Umberto Riva, un colloquio, muovendo dalla pittura. Romanelli cerca di far emergere dall’immaginario di Riva il suo bisogno di comprensione del dipingere e Riva risponde che la vera ragione per cui intraprese a dipingere fu dovuta al fatto che ai tempi come architetto non aveva troppo lavoro, e, di conseguenza, negli anni ’70 non si riconosceva nel ruolo dell’architetto professionista. Inoltre, scoprendo Picasso e soprattutto Klee, Riva studia e in qualche modo restituisce un’idea di architettura a partire dal disegno e all’interno di una formalizzazione pittorica le sue ipotesi di progetto. Le questioni che pone Romanelli nell’intervista sono di fondamentale importanza, a mio parere, per riconoscere proprio la Relazione tra Pittura e Architettura nella ricerca di questo grande architetto quale è stato Umberto Riva. Tra pittura e Architettura si tratta sempre di Forme, tuttavia non è pensabile proporre una forma pittorica e farla quindi diventare una forma architettonica.
Riva esprime, in questa intervista, l’essenza della sua progettazione: il legame molto forte tra il progettare – come presupposto che tutte le parti debbano avere una loro identità e tutte debbano entrare in gioco e quindi siano in qualche misura necessarie – e la dimensione del molto grande con la dimensione del molto piccolo, tra il positivo e il negativo. Nessun elemento viene tralasciato e tutti concorrono nella loro mutua partecipazione alle stesse possibilità di essere studiati di essere sviscerati, quasi come se dovessero emergere e partecipare tutti nello stesso istante.
Riva conclude rispondendo, che, ora, raggiunta un’età matura, “oggi che sono vecchio mi sembra tutto sia molto più facile in quanto i vecchi che di solito si nutrono di rimpianti per me al contrario il nutrimento viene da avere imparato a vivere in qualche modo (…) Avrei potuto fare l’architetto avrei potuto fare lo scenografo”, unica cosa per Riva è potersi esprimere attraverso delle Forme, “perché questo è il modo più congeniale per me”.
Luce e colore sono nell’opera di Umberto Riva fondamentali, e ciò emerge con tutta la sua forza, afferma Romanelli: “nei suoi quadri il colore si fa luce, esattamente come nelle sue case è la luce a farsi colore”.

Umberto Riva, Casa Miggiano, Otranto, 1990-96. Foto: Alba Deangelis.

Marco Rapposelli, Conoscenza per errore. Gli interni di Umberto Riva
Nel testo Rapposelli individua quanto il tema del rischiare il Limite all’interno della progettazione, sfiorando il non-finito in Umberto Riva sia fondamentale, anzi, addirittura, il Concetto di non-finito può riportare al tema dell’una conoscenza, una conoscenza per errore; inoltre, sostiene che nei progetti di Riva la soluzione a una vasta e approfondita conoscenza di moltissimi errori e sviluppi, quindi, tentativi (uno sopra l’altro) per arrivare a una soluzione, producano un’opera Aperta di Spazi, in cui, soprattutto, l’incontro con l’altro, da sé con il Paesaggio, con il Contesto all’istituzione, renda abitabile ciò “che attrae la presenza dell’uomo”.
Gli interni di Riva sono analizzati attraverso alcuni temi come angoli, colori, vincoli, paesaggi verticali, scale, che esprimono il tentativo di ritrovare da un elemento inerte, vuoto in partenza, uno spazio Teso e Intenso, come a voler amplificarne i limiti (in qualche modo degli spessori murari). Quello che conta di più negli interni di Riva, secondo Rapposelli, è la distribuzione che sempre “non è dettata da schemi funzionali o tipologici, quanto da considerazioni di carattere visuale e topologico”.

Due pagine del libro ©Editions Cosa Mentale – Caryatide.

Maria Bottero, Incursioni oltre il Moderno
In questo ultimo paragrafo, Maria Bottero, usando la sequenza delle lettere dell’alfabeto, inserisce sue osservazioni inerenti sia al suo vissuto personale con Riva sia ai riferimenti per la sua architettura e introduce elementi per comprenderne l’opera, (concetti di paesaggio, di geometria, di pittura), cioè, tutti elementi che riguardano il progetto come Materia-Struttura-Forma.
Ne esce una analisi specifica di ogni progetto utile per la conoscenza dell’opera di Umberto Riva. Elencare questa sequenza serve per comprendere la densità di tale Opera.

A: esterno con albero, prologo;
B: la lezione di Carlo Scarpa: spazio-materia e memoria;
C: paesaggio;
D: geometria delle triangolazioni;
E: pittura come deposito di memoria e produzione di archetipi;
F: design come sperimentazione materiale e produzione di archetipi;
G: interpretare, rinnovare, percorrere e agire lo spazio;
H: Progetto come poiesis;
I: materia struttura forma. Otto esempi di architettura (tra questi, Casa di Palma, Casa Berrini, Casa Ferrario, Casa Miggiano…);
J: costruzione del paesaggio e dimensione simbolica;
K: il Salento come laboratorio e paesaggio da affezione;
L: abitare il mondo oggi.

Conclude la sua escursione e viaggio all’interno dell’opera di questo grande architetto: “la architettura di Riva, trattenuta sul filo della precarietà e della fragilità della vita nell’elogio dei valori tramandati, e tuttavia insofferente dell’ovvio, si muove in modo non lineare tra piano onirico dell’immaginifico e piano concreto del fare. Recuperando con ciò un paesaggio possibile per un nuovo possibile modo di abitare”.

Studio di Milano. Foto: Alba Deangelis.

Concludo anche io la mia Recensione, sperando vi abbia stimolato ad iniziare questa meravigliosa Avventura che sarà la Lettura di questo Volume, per diffondere i progetti di Riva.