Tra i molti settori di competenza dello studio legale Belvedere Inzaghi & Partners, di cui Lei è partner, una parte importante riguarda l’approfondimento delle problematiche concernenti il governo del territorio e il rapporto con le pubbliche amministrazioni. In questo senso, gli articoli da voi curati e pubblicati su weArch, costituiscono un’importante e utile testimonianza rispetto a varie tematiche legislative che i professionisti operanti nel campo della progettazione devono affrontare.
Potrebbe indicarci quali sono a suo avviso i temi di maggior interesse di cui tener conto 
negli atti di pianificazione?

A mio parere c’è una grande tematica di fondo da cui dipenderà il futuro dello sviluppo urbanistico, ma anche sociale, delle nostre città: il rapporto tra pubblico e privato nel governo del territorio. In una realtà in cui le risorse economiche dei Comuni sono sempre più scarse, l’apporto dei soggetti privati assume un’importanza fondamentale. Cito due esempi che riguardano ambiti molto diversi tra loro.

Il primo riguarda le azioni a favore della rigenerazione urbana.
Soprattutto nei grandi comuni vi sono aree dismesse o sotto utilizzate, spesso caratterizzate anche da scarsa qualità dei suoli e dall’assenza o dall’inadeguatezza degli spazi pubblici. In ambiti di questo genere si pone la necessità di procedere con interventi di rigenerazione urbana, tematica sulla quale si avverte una crescente attenzione anche a livello legislativo: sono state infatti presentate varie proposte di legge statale e approvate alcune leggi regionali sul tema. Anche nel Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano di recente adottato è stata introdotta una disciplina volta a favorire la realizzazione di interventi negli “Ambiti di rigenerazione”.
Ritengo indispensabile consentire ai privati che intraprendono interventi di rigenerazione urbana la più ampia flessibilità per quanto riguarda le destinazioni da insediare e la possibilità di realizzare opere di urbanizzazione anche a scomputo dei costi di bonifica delle aree e del contributo sul costo di costruzione. Occorre infine che l’importo degli oneri di urbanizzazione venga definitivamente fissato già in sede di convenzione con il Comune.

Un secondo ambito in cui la collaborazione tra pubblico e privato può raggiungere risultati eccellenti è quello relativo alla prestazione dei servizi. È ormai convinzione condivisa da tutti che i servizi possano essere erogati non soltanto dagli enti pubblici, ma anche da soggetti privati. Così, ad esempio, la variante al PGT di Milano conferma il principio secondo il quale le superfici delle strutture destinate a servizi privati oggetto di accreditamento o di convenzionamento con il Comune non rientrano nel computo della SL – Superficie lorda (e quindi del volume) e possono pertanto essere realizzate anche in zone sature sotto il profilo urbanistico.
Ritengo che nell’ambito dei servizi accreditati o convenzionati debbano poter trovare spazio nuove modalità di svolgimento di attività lavorative, come gli incubatori o gli acceleratori d’impresa ed il coworking, ma anche nuove forme di social housing, come ad esempio lo “student housing” ed il “senior housing”.

OAI Haller Architekten, coworking Kreativpark Lokhalle, Friburgo, Germania. Foto di Christoph Düpper.

La legislazione italiana relativa alla realizzazione di opere pubbliche ha visto tre grandi riforme del settore, la prima è stata la Legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109/1994, la seconda il Codice dei contratti pubblici Dlgs 163/2006, la terza il nuovo Codice dei contratti pubblici Dlgs 50/2016, più volte aggiornato in questi anni.
Il 28 febbraio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato un Disegno di Legge delega per una ennesima riforma della normativa sulle opere pubbliche; il 18 aprile è stato poi approvato il decreto legge n. 32/2019 (c.d. “decreto Sblocca cantieri”). Quali sono le principali motivazioni che spingono il legislatore a intervenire di nuovo?

Occorre anzitutto chiarire che la legislazione italiana sugli appalti è tenuta a dare attuazione alle direttive europee in materia, che vincolano il legislatore nazionale per molti aspetti. Ciò tuttavia non giustifica l’ipertrofia normativa che caratterizza la legislazione italiana in materia di appalti e che rappresenta una delle principali ragioni che inducono il legislatore ad intervenire per riformare nuovamente la materia.
La legge delega che ha condotto all’emanazione del Codice degli Appalti oggi vigente conteneva il divieto di “gold plating”, ossia il veto all’introduzione di livelli di regolazione superiori a quelli imposti dalle direttive europee da attuare.
Eppure il nostro Paese è finito nel mirino della Commissione Europea, che ha attivato una procedura di infrazione ai danni dell’Italia, anche per aver introdotto nel Codice degli Appalti restrizioni che non trovano riscontro nella normativa europea in tema di subappalto e di avvalimento.
Vi sono poi previsioni “tutte italiane”, come ad esempio le disposizioni che hanno attribuito poteri assai rilevanti in tema di appalti pubblici all’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione che, a mio avviso, andrebbero ricalibrate.
Comunque ritengo che il problema più grave della normativa in tema di appalti pubblici riguardi l’ingiustificata complessità dell’impianto normativo, cui in questi anni non si è riusciti a porre rimedio. Il decreto legislativo n. 163/2006 prevedeva un solo regolamento attuativo e sono stati necessari oltre quattro anni perché si arrivasse all’approvazione di tale regolamento.
In occasione del decreto legislativo n. 50/2016 si è pertanto deciso di superare il modello del regolamento unico di attuazione, a favore in un regime di “soft law”, caratterizzato da vari tipi di linee guida. Tra linee guida e altri atti il nuovo Codice dei Contratti prevedeva circa 50 atti attuativi. È evidente che un sistema di questo tipo non può funzionare.
Non a caso nel decreto legge n. 32/2019 (c.d. “decreto Sblocca Cantieri”) si è previsto di tornare al modello di regolamento unico che sostituirà i decreti e le linee guida adottati in attuazione del Codice degli Appalti vigente.
Il “decreto Sblocca Cantieri” interviene a modificare 81 norme del Codice degli Appalti e dunque sotto un profilo quantitativo si tratta di un intervento importante.
Tuttavia che il decreto possa effettivamente condurre a un rilancio del settore dei contratti pubblici è a mio avviso un risultato tutt’altro che scontato.

Il Glossario di cui al D.M. del 2/3/2018 costituisce senza dubbio un’importante novità in materia edilizia. Ci può brevemente illustrare lo scopo pratico che il legislatore ha inteso perseguire mediante tale strumento e gli ulteriori decreti che verranno adottati con riferimento alla CILA – SCIA e Permesso di Costruire?

L’articolo 117 della Costituzione ricomprende il “governo del territorio” tra le materie di legislazione concorrente. Nelle materie di legislazione concorrente è riservata allo Stato la determinazione dei princìpi fondamentali, mentre alle Regioni spetta soltanto la potestà normativa di dettaglio. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si ricollega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia “governo del territorio”.
Si tratta dunque di un settore riservato alla competenza legislativa dello Stato, nel quale le Regioni possono al più specificare quali siano gli interventi edilizi che rientrano nelle diverse categorie così come definite nel testo unico dell’edilizia.
Con il decreto legislativo n. 222 del 2016, (c.d. “decreto SCIA 2) sono stati individuate le attività edilizie oggetto di semplice comunicazione, di SCIA o di silenzio assenso.
Il decreto legislativo n. 222/2016, al fine di garantire omogeneità di regime giuridico in tutto il territorio nazionale, ha poi previsto l’adozione di un glossario unico, che contiene l’elenco delle principali opere edilizie, con l’individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono e conseguentemente del regime giuridico a cui sono sottoposte.
In fase di prima attuazione di tale previsione, è stato approvato il decreto ministeriale 2 marzo 2018, recante il glossario non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera di cui all’articolo 6 del testo unico dell’edilizia.
Al decreto ministeriale 2 marzo 2018 dovranno far seguito altri decreti con i quali provvedere al completamento del glossario unico in relazione alle opere edilizie realizzabili mediante CILA, SCIA, permesso di costruire e SCIA in alternativa al permesso di costruire.

Dettaglio della mappa d’insieme del “PGTonline”, un progetto digitale realizzato dagli Ordini degli Architetti PPC della Provincia di Milano e della Provincia di Monza e della Brianza, dall’Assimpredil Ance e del Centro Studi PIM.

Ci può illustrare in che rapporto si pone il D.M. del 2/3/2018 con il DPR 31/2017 recante “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”?

Come ho precisato, il glossario di cui al decreto ministeriale 2 marzo 2018 si è limitato ad esplicitare a titolo non esaustivo l’elenco delle opere realizzabili in regime di edilizia libera ai sensi dell’articolo 6 del DPR n. 380/2001.
Dunque il decreto ministeriale 2 marzo 2018 non incide in alcun modo sulle norme che prevedono la necessità di atti autorizzativi di altro genere.
Ciò vale anche con riferimento al Regolamento di cui al DPR n. 31/2017, con il quale sono stati individuati gli interventi che, essendo di lieve entità, sono sottoposti a procedura autorizzatoria paesaggistica semplificata nonché quelli esclusi tout court dall’autorizzazione paesaggistica.
La procedura di autorizzazione semplificata è caratterizzata da un iter più snello rispetto a quello ordinario (anche sotto il profilo della documentazione da produrre) e deve concludersi tassativamente entro 60 giorni dalla presentazione della domanda.
Dunque, in definitiva può accadere che vi siano interventi edilizi che, pur rientrando tra le opere di cui all’art. 6 del DPR n. 380/2001 (ed essendo pertanto realizzabili in regime di edilizia libera), sono tuttavia soggetti ad autorizzazione paesaggistica semplificata o addirittura ad autorizzazione paesaggistica ordinaria.
Si consideri ad esempio il tema dell’installazione dei pannelli fotovoltaici a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444. Secondo quanto specificato nel glossario, questo tipo di intervento rientra tra le opere realizzabili in regime di edilizia libera. Tuttavia si rende necessario acquisire l’autorizzazione paesaggistica qualora i pannelli fotovoltaici, sebbene integrati nella configurazione delle coperture, o posti in aderenza ai tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda, vengano collocati in ville, giardini e parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza o in complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri e i nuclei storici.
Ove poi si tratti di interventi, riguardanti questo tipo di immobili, nei quali i pannelli fotovoltaici non risultano integrati nella configurazione delle coperture o non sono posti in aderenza ai tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda, si renderà necessaria l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica ordinaria.