Il libro è una collezione di 54 racconti di architetture, realizzate tra l’inizio e gli anni Sessanta del Novecento (il periodo codificato del Moderno), presentate in ordine cronologico. Questo è il criterio scelto dall’autore per organizzare testi scritti nel corso di 35 anni di viaggi, suggerendo tuttavia una lettura aperta, in cui ciascuno possa tracciare un percorso personale attraverso edifici, piani urbanistici, quartieri e parchi.

Fondazione Maeght, Josep Lluís Sert, Saint-Paul-de-Vence, 1958-71. Foto: Pietro Valle.

Il titolo punta l’attenzione non tanto sui singoli termini, quanto piuttosto sui loro accoppiamenti, poiché il principale obiettivo del testo è fare affiorare tutta la complessità che sta nello scarto tra tali attributi o azioni: tra “Moderno” e “Costruito”, cioè tra progetto e realizzazione; tra “Costruito” ed “Esistente”, cioè tra l’edificio originario e quel che è divenuto nel tempo; tra “Esistente” e “Visitato”, ovvero tra opera e percezione esperienziale, necessariamente soggettiva, di chi vi si accosta nel presente.

Albergo-rifugio per ragazzi Pirovano, Franco Albini, Cervinia, 1949-51. Foto: Pietro Valle.

Il libro affronta questi temi con un linguaggio che sembra confermare le sfaccettature esposte: tanto rigoroso e tecnico nel descrivere le opere, quanto evocativo, nel sovrapporvi i pensieri, le riflessioni e le emozioni di colui che le visita, muovendosi così tra matericità e immaterialità. Per questo si può affermare che i capitoli non siano schede progettuali, ma vere e proprie narrazioni, che partono dalla descrizione delle premesse teoriche delle opere, riportano sviluppi e insieme aneddoti progettuali e costruiscono lo svolgimento di ciascuna vicenda architettonica, filtrata dallo sguardo dell’autore (con il suo bagaglio personale di architetto, costruttore e viaggiatore).
Le opere, per lo più note, ma in alcuni casi “minori”, vengono presentate anche attraverso una fotografia, che non intende essere un’immagine esaustiva, bensì stimolare l’approfondimento di ciò che non viene mostrato.

Casa Lloyd Jones, Frank Lloyd Wright, Tulsa, 1929. Foto: Pietro Valle.

Il ragionamento che emerge è che, se concettualmente il Moderno era e può essere percepito ancora, “accademicamente”, come un pensiero unitario, poi, nella pluralità delle realizzazioni, nell’incontro tra princìpi informatori e circostanze locali (del contesto, del processo di costruzione, ecc.) smarrisce il suo (presunto) carattere “monolitico”. Questa frammentazione si accentua ancor più nel confronto delle architetture stesse con il tempo e, ulteriormente, nello sguardo individuale di chi ne ha esperienza diretta.

Biblioteca, Alvar Aalto, Viipuri, 1930-35. Foto: Pietro Valle.

Restano la ricchezza, la complessità, la molteplicità: una schizofrenia di risultati che sembra la negazione stessa di un’ideologia compatta, della verità e dell’ottimismo del Moderno.
Resta talvolta e auspicabilmente, nella contemporaneità, l’apertura a “un’idea di riuso” che “riconosce la sintesi” attuata da un’opera in un determinato contesto (non solo fisico) come “ancora disponibile a successive integrazioni”.