Ho sempre creduto che “fare architettura non avesse limiti”. Che un architetto potesse tutto, anche varcare la porta della progettazione ordinaria (seppur grandiosa) come quella di un oggetto di design, di un manufatto architettonico o di grandi strutture.
Per me è stato così. Improvvisamente ho capito che lo spazio che mi interessava era il corpo umano, ed in particolare lo spazio-volto. Una volta presa coscienza di ciò mi sono resa conto che avrei potuto ri-progettarlo e renderlo più armonioso dal momento che, pur essendo uno spazio già progettato da madre natura, quasi mai è perfetto.
Vi sembra poco lo so, e non vi nascondo che l’ho pensato anche io, ma in seguito ho scoperto – cimentandomi – che la ri-progettazione dello spazio-volto non è poi una cosa facile! Per questo, prima di capire in che modo un architetto possa ri-progettare lo spazio-volto, è necessario che siano chiari due concetti a me molto cari e su cui ho fondato tutto il mio operare: il concetto di bellezza e quello di architettura del volto.
“La vista ricerca un effetto gradevole. Se non soddisfacessimo il suo gusto col rispetto delle proporzioni e correggendo le misure al fine di compensare equilibratamente eventuali difetti, a chi guarda si presenterebbe un’immagine rozza e sgraziata”, Marco Vitruvio Pollione, De Architectura.
È in questa citazione Vitruviana che ritengo sia racchiuso il concetto di bellezza e il modo in cui si dovrebbe cercare di perseguirla. La bellezza non è qualcosa di oggettivo e universale ma, al contrario, è qualcosa di soggettivo e vario. Ogni essere umano possiede una propria bellezza che va valorizzata e che lo rende unico. Una bellezza che è determinata da un rapporto di equilibrio armonico che si crea tra le varie parti di un tutto. Da ciò ne consegue che quando esiste un equilibrio tra le parti si genera armonia, e a sua volta bellezza.
Attenzione però a non confondere la “bellezza” con la “perfezione”. Non è bello ciò che è perfetto, ma ciò che armonioso. Come scrisse, infatti, a tale proposito, Charles Baudelaire nel libro Il mio cuore messo a nudo: “Quel che non è leggermente difforme ha un aspetto insensibile – ne deriva che l’irregolarità, ossia l’imprevisto, la sorpresa, lo stupore sono una parte essenziale e la caratteristica della bellezza”.
Questo perché “la perfezione non conduce mai alla bellezza, ma a una perdita dell’identità”.
Ma veniamo ora al concetto di architettura del volto.
Sono certa che il modo più efficace per far comprendere cosa intendo per architettura del volto è quello di partire dalla sua assenza.
E per far ciò mi servo di un’opera di René Magritte del 1928 dal titolo Gli amanti, conservata al MoMa di New York.
René Magritte, Gli amanti (Les Amants), 1928.
Quest’opera dimostra, con una metafora intensa, che coprendo il volto di una persona tutto ciò che la caratterizza esteticamente ed espressivamente (fronte, sopracciglia, occhi, naso, bocca, zigomi, gote, mento, ecc.) viene cancellato.
Ne consegue quindi che l’architettura del volto rappresenta la struttura portante (ossa, muscoli e pelle) e non che caratterizza esteticamente ed espressivamente in maniera unica un individuo. O più semplicemente, per dirla alla Roland Barthes, “l’aria” che rende inconfondibile una persona.
Ma se l’architettura del volto costituisce le fondamenta dell’identità di una persona, allora non è pensabile poter intervenire su di un volto senza rispettarne l’architettura. E ancora una volta mi servo di una citazione per chiarire meglio quanto affermato: “Un volto senza tratti caratteristici è come un libro di cui non si può citar nulla”, Joseph Joubert, Pensieri per vivere.
Ma vediamo adesso gli espedienti di cui si deve avvalere un architetto per far apparire un volto diverso, senza però cambiarlo realmente.
Tra gli innumerevoli espedienti sicuramente la teoria della percezione, della proporzione, della luce, del colore, della conservazione e del recupero, unitamente ad una serie di strumenti di bellezza come il make-up, il “parrucco” (acconciatura, taglio e colore dei capelli), gli annessi e connessi (barba, baffi, basette, ecc.) e gli accessori (occhiali, collane, cappelli, orecchini, sciarpe, guanti, ecc.) costituiscono il cocktail degli espedienti ideali.
Espedienti che, quando usati sapientemente (singolarmente o in combinato), consentono di plasmare la realtà al nostro volere. La storia dell’architettura barocca e rococò pullula di esempi che oscillano tra realtà e artificio. Basta ricordare come, grazie ad un espediente di prospettiva illusoria, sia il Borromini che il Bramante abbiano creato un effetto di profondità fornendo una visione altra della realtà. Il Borromini con l’androne d’accesso al cortile di Palazzo Spada a Roma, il Bramante con l’abside della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro di Milano.
Francesco Borromini, l’androne d’accesso al cortile di Palazzo Spada, Roma. Foto: ©Vicenç Valcárcel Pérez / licenza CC BY SA4.0 tramite Wikimedia Commons.
Donato Bramante, l’abside della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, Milano. Foto: ©Samoano~commonswiki / licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.
Ed è proprio allo stesso modo che un architetto può riuscire ad attuare delle illusioni di bellezza per modificare e camuffare tutte quelle disarmonie facciali che rendono un volto esteticamente sgradevole.
Espedienti come le sopracciglia ad esempio, consentono non solo di riproporzionare un volto da un punto di vista formale ma anche di cambiarne l’espressione. A seconda, infatti, dell’inclinazione (ascendente, orizzontale e discendente) che assegniamo ad esse, possiamo slanciare, accorciare, allargare o stringere un volto o conferirgli un espressione allegra, normale, triste, cattiva; grazie ad una frangia o ad una scriminatura laterale ridimensionare una fronte troppo alta o bassa; utilizzando delle lenti a contatto colorate e delle ciglia finte siamo capaci d’ingrandire o rimpicciolire degli occhi; con dei baffi potremo ridurre l’altezza del filtro (distanza base del naso – labiale superiore), mentre con una barba saremo in grado di mitigare un mento troppo pronunciato o una pelle butterata. Ed ancora con un occhiale camuffare un naso aquilino e tanto tanto altro ancora…
Disegno: Jessica Ciaramelletti.
Chi opera nello spazio-volto sa che tutto si basa su un sottile gioco di equilibri e illusioni ottiche e che nessuno degli elementi caratterizzanti può essere trattato singolarmente, giacché facente parte di un tutto che va rispettato come insieme. Basta un piccolo errore perché un volto cambi proporzione, espressione e, di conseguenza, perda di armonia.
Infine, ma non per questo meno importante, va ricordato che quando si interviene in uno spazio-volto, bisogna tener conto sempre della quarta dimensione proprio come gli artisti del Cubismo. Questo perché il volto, non essendo un’entità a sé ma qualcosa che fa parte di un tutto, necessita d’essere analizzato, corretto e armonizzato rispetto non solo agli elementi che lo costituiscono, ma anche a quelli che ad esso risultano strettamente correlati, come: la parte posteriore, inferiore, superiore e laterale della testa, le orecchie e i capelli, il collo, le spalle, la schiena, il torace, le braccia e le mani. Quindi: dalla sommità del capo a fine busto.
Ovviamente per cogliere tutti questi dettagli estetici occorre osservare un individuo non da un unico punto di vista, ma da più visuali contemporaneamente.
E per far ciò converrete che ci vuole del tempo!
Proprio come quando si ammira una scultura, volendo citare una frase di Bruno Zevi tratta dal suo saggio Saper vedere l’architettura: “va osservata girandole intorno per riuscire a coglierla in ogni sua parte in lontananza e da vicino”.
Spero che con questo mio breve scritto abbia dimostrato che non esiste spazio in cui un architetto non possa esprimersi.