La mostra Gino Valle. La professione come sperimentazione continua di Casa Cavazzini a Udine, organizzata in occasione dei cento anni dalla nascita dell’architetto, rappresenta solo una parte dell’enorme progettualità costruita, reale quindi, dell’opera del maestro friulano.
Manca qualcosa soprattutto degli esordi, del suo costruire carnico, del suo linguaggio architettonico in cui già si poteva intravedere lo stile che lo ha contraddistinto nei lavori successivi. Innanzitutto, il suo “fare” senza fronzoli e orpelli, “come berretti e cappellini di carta durante il carnevale”, dettato dagli stilemi del costruire sobrio, che è di fatto quello di edificare senza mode, tendenze, maestri, riviste, dunque senza tutte queste ultime “cose” che passano con l’esaurirsi della moda del periodo, tendenze che scompaiono prima di diventare concretezze e certezze; il rifuggire i maestri, quelli buoni e cattivi, per evitare di diventare emuli; lo snobbare le riviste fatte di carta, perché non esistono le tigri di carta, ma solo quelle di carne.
Valle costruttore come lo era F.L. Wright, Mies, e pochi altri: sapere dove mettere le mani per arrivare a quella conclusione, a quel preciso risultato; Valle, maestro del fare…

Vista dell’esposizione. Courtesy Casa Cavazzini.

Un aspetto che, tra gli altri, mi ha colpito nella visita alla mostra, è riscontrabile in maniera tangibile in due edifici urbani presenti a Udine, entrambi altrettanto emblematici: l’edificio “Talmone” in via Mercatovecchio e un altro posto nell’angolo tra via Vittorio Veneto e via Marinelli.
In tutti e due i casi si trattava di relazionarsi col costruito di un centro città di chiara impronta ottocentesca, palazzi vicini con precise architetture fatte di proporzioni, scansioni di vuoti e pieni, materiali e misure dell’architettura urbana.
Difficile accostarsi progettualmente a edifici così caratterizzati formalmente, stare in mezzo a loro, senza essere di loro una mera copia stilistica.

Gino Valle, Palazzo Rosso “Talmone”, Udine, 1962-64. Courtesy DARC.

Gino Valle lo fa con l’edificio del “Talmone” prendendo le linee dei volumi ottocenteschi nella partizione di piani, le linee che idealmente proseguono orizzontalmente, ma cambia il pieno degli altri edifici con il vuoto di tagli di finestre continui, cambia di poco il ritmo di costolature e di ripartizioni per attualizzare tramite rilettura formale l’architettura ottocentesca tipica della città storica.
Già che c’è ne cambia anche il colore inserendone uno suo, che userà spesso: il rosso minio, o, per essere precisi, il Keim 9003. Cambia materiale: non più pareti di muratura piena e struttura muraria tradizionale, ma ferro, struttura in ferro a vista per l’intero edificio.

Gino Valle, Palazzo Rosso “Talmone”, Udine, 1962-64. Disegno. Courtesy Casa Cavazzini.

Una riflessione a margine. Provate voi oggi, a proporre di costruire un edificio in ferro rosso in via Mercatovecchio (pieno centro storico di Udine, ndr) e chiedetevi cosa possono pensare di questo i regolamenti edilizi attuali, le commissioni edilizie, i cittadini ben-pensanti. Una cosa donchisciottesca come minimo…
Quello che è assolutamente notevole in Gino Valle è la sua capacità di accostarsi al costruito con un linguaggio simile, ma autonomo, un misto di delicatezza e di forza di segno, un potente segnale di come la città contemporanea si può esprimere senza per questo sposare a tutti i costi una modernità effimera che invecchia appena edificata, oppure di fare false architetture attuali.

Gino Valle, Palazzo Rosso “Talmone”, Udine, 1962-64. Disegni e dettagli in mostra, Courtesy Casa Cavazzini.

Un analogo approccio in puro stile Valle è quello di via Vittorio Veneto, sempre a Udine, dove l’edificio fa i conti non solo con i contermini di ottocentesche fattezze, ma anche con il palazzo delle Poste e telefoni ad opera di Gino Lucio Tonizzo (1883-1929), eclettico nell’architettura come andava a quei tempi.
La differenza stilistico-materica di Valle è stavolta quella del cemento armato faccia a vista, dell’alluminio naturale, la facciata liscia senza rientranze e vuoti; comunque senza alcun compromesso, se non quello personale e intimo che un bravo architetto fa tra sé e sé.

Gino Valle, Uffici e centro servizi Fantoni, Osoppo (Udine), 1976-78. Courtesy Casa Cavazzini.

Un’ultima nota, del tutto personale, da parte mia che l’ho conosciuto abbastanza ma non troppo, o probabilmente troppo poco.
Ho ancora una foto di noi due dove lui mi mette una mano sulla testa. La foto non riporta ovviamente il testo, ma quello che diceva era: “ti se bravo putel”, di facile traduzione per un udinese come me.