Il lockdown e la crisi sanitaria legata al Covid-19, che tiene sotto scacco ancora migliaia di persone in tutto il mondo e dal quale noi italiani siamo usciti da poco, è stato un periodo che ci ha portato a riflettere su noi stessi e sul nostro modo di vedere e concepire il mondo, dando vita un continuo susseguirsi di dibattiti, articoli, libri e testi sul tema.
Ad oggi, quello che ritengo più importante è che non dobbiamo leggere l’attuale crisi come un evento isolato, ma come conseguenza di un contesto più ampio e complesso. D’altronde lo stesso Zygmunt Bauman nei sui libri Stato di crisi(1) e Babel(2), precedenti la pandemia, ci raccontava di una realtà in crisi, nel senso che vive uno stato di crisi perpetuo, segno questo di un profonda trasformazione. In Babel in particolare, scritto insieme a Ezio Mauro, Zygmunt Bauman ci trasportava in un mondo i cui abitanti vivono in uno spazio e un tempo “stirato, mobile, smaterializzato, in cui è sovrano, come forse mai prima, il principio dell’eterogenesi dei fini”(3). Uno spazio che è un interregno, un disordine nuovo e babelico, che ci lascia sospesi tra un passato nel quel non ci rispecchiamo ed un futuro ancora da decifrare. Il presente è quindi una realtà “intrappolata” all’interno di uno stato immanente il cui protagonista è proprio il termine crisi. Ma che cos’è una crisi ed esattamente, cosa ci racconta?
Dalla società solida alla società gassosa, disegno di Emmanuele Lo Giudice, 2018.
Se proviamo ad analizzare il termine, liberandolo dalla sua drammaticità, scopriremo che ha una forte valenza rinnovatrice. Come ci fa infatti notare anche Michel Serres nel suo libro Tempo di crisi(4), l’origine della parola crisi deriva dal greco κρίνω che significa “scelta, decisione, fase decisiva”, ma anche “giudizio, risultato di una prova, passaggio, squilibrio traumatico”. Nel suo significato etimologico, il termine non ha un significato strettamente negativo, ma racchiude in sé anche dei valori positivi. Una crisi ci giudica, “istituisce un tribunale” e, soprattutto, ci impone un ultimatum verso un cambiamento. Una crisi è una forza, non un pensiero, una forza che, come “la sfera di Fellini che conclude Prova d’orchestra”(5), travolge tutto, acquistando una sua autonomia e i cui effetti sono fortemente visibili. In particolare le pandemie hanno la capacità di avvicinarci tutti, i virus sono dei veri e propri super-globalizzatori”(6) che hanno la capacità di riportarci tutti ad una nuova condizione. L’unica strada possibile per uscire da questa funesta condizione è quindi intraprendere una nuova strada. Se infatti si persevera lo stato lasciato a monte, questo ci riporterà inesorabilmente alla stessa condizione di partenza che ha generato la crisi. “Se viviamo veramente una crisi, nel senso forte del termine, allora non c’è più nessun ritorno indietro”(7).
Una crisi ha quindi un valore catartico, è la rinascita dopo la rottura, è il primo passo verso una trasformazione, verso una metamorfosi e quello che stiamo vivendo essenzialmente è proprio una metamorfosi della realtà del mondo. Ma cosa stiamo abbandonando definitivamente e quale forma prenderà la nostra realtà?
Difficile da dirsi, ma se diamo uno sguardo al nostro passato più recente, il secolo che abbiamo lasciato, è stato il secolo del trionfo e della fine della modernità, ma anche l’inizio e la fine del postmoderno. Dalla fine degli anni Novanta ad oggi, diversi studiosi hanno introdotto nuove prospettive che ci mostrano le debolezze del postmoderno, decretandone, se non la fine, quantomeno la crisi o una sua ulteriore evoluzione. Il postmoderno sembra così esserci passato accanto quasi senza accorgercene, lasciandoci persi nella nostra contemporaneità post-postmoderna. Quello che possiamo dire è che oggi emerge un sentimento generale che ci porta a pensare che stiamo passando da una società consumistica e pluralista, che ha generato una supermarket city – una città concepita per essere consumata e non per essere vissuta – a una società che non identifica più l’idea del progresso esclusivamente con il consumo dei beni, ma con una costruzione responsabile della realtà che mira al miglioramento della vita dell’uomo e del suo ambiente.
Architettura solida e architettura gassosa, disegno di Emmanuele Lo Giudice, 2019.
Usando quindi la famosa metafora di Zygmunt Bauman, se possiamo legare la modernità e la postmodernità rispettivamente ad un corpo solido e un corpo liquido, la condizione che caratterizza la società contemporanea, la società post-postmoderna, è la materia del corpo gassoso. Una condizione questa, di un corpo dialogico sempre e inesorabilmente inquieto, libero dai condizionamenti dell’oggetto, che si insinua in qualsiasi spazio senza accettare mai di essere rinchiuso dentro limiti determinati che, come avviene in un palloncino, sono sempre e comunque precari, pronti a rompersi. È il corpo della società contemporanea, una società della condivisione, dello sharing, una società post-postmoderna che possiamo chiamare con il termine società gassosa. Il corpo gassoso di questa contemporaneità ci racconta, la fine del trionfo dell’oggetto che si è dissolto in frammenti, sublimandosi in particelle gassose in continua connessione tra loro, in una sorta entanglement(8) quantistico che ci connette l’uno all’altro in varie parti del pianeta. La gassosità ci mostra quindi la realtà come una condizione polifonica dell’esperienza che ci permette di percepire la realtà come una libera condizione dell’immanente.
Difronte a questa realtà l’architettura si trova spaesata. I vecchi sistemi su cui si è sempre costruita risultano inadeguati. Si necessità quindi un rinnovamento prima di tutto di tipo concettuale. L’architettura deve abbandonare ogni velleità legata alle sue idee di autonomia disciplinare e di visioni formali costruite attorno al suo essere forma-oggetto, oggi più che mai strumento di marketing urbano anziché di relazione sociale. Dobbiamo passare ad un’architettura strutturata come forma-dialogica di relazioni dinamiche, la cui tensione unitaria e formale è costituita essenzialmente da un logos di connessione. Un’architettura il cui corpo, è puro spazio dialogico legato da continue connessioni “energetiche”, un entanglement di forze di attrazione e di repulsione tra i frammenti architettonici delle sue “particelle antropiche”, il cui comportamento ricorda proprio il sistema “dinamico” delle molecole dei gas, un’architettura che possiamo chiamare con il termine Architettura Gassosa(9), il cui manifesto, edito nel 2018, invita tutti ad un cambiamento di rotta più responsabile e sostenibile.
Roma, 26 giugno 2020
Note
1. Zygmunt Bauman and Carlo Bordoni, State of Crisis, Polity Press, 2014, (ed. ita. Zygmunt Bauman e Carlo Bordoni, Stato di crisi, Einaudi, 2015).
2. Zygmunt Bauman e Ezio Mauro, Babel, Laterza, 2015.
3. Bauman, Babel, op. cit., prologo, pag. X.
4. Michel Serres, Temps des crises, Le Pommier, Paris, 2009, (ed. ita. Michel Serres, Tempo di crisi, Bollati Boringhieri, 2010, trad. Gaspare Polizzi).
5. Mauro, Babel, op. cit., pag. 4.
6. Bruno Latour, Immaginare gesti-barriera contro il ritorno alla produzione pre-crisi, Antinomie, 09-04-2020.
7. Serres, op. cit. ed. ita. Bollati Boringhieri, 2010, pag. 11.
8. Entanglement è un fenomeno della meccanica quantistica che ci mostra il nostro mondo come una realtà corporea composta da particelle interconnesse tra loro anche a notevole distanza, negando il loro locale carattere “geografico”.
9. La teoria dell’Architettura Gassosa è tema di discussione dal 2018 di varie conferenze, convegni e workshop in Italia e all’estero, tra diversi architetti, docenti, artisti e intellettuali, in varie sedi prestigiose come la Biennale di Venezia e il museo Macro di Roma. Sull’Architettura Gassosa attualmente è stato autopubblicato un manifesto grafico, edito nel 2018: Emmanuele Lo Giudice, Architettura Gassosa, per un nuovo realismo critico.