Il progetto prevede la riprogettazione della casa di due fratelli, figli di una coppia di emigranti che, vissuti in Svizzera, all’età della pensione tornarono in Carnia nella casa che era appartenuta ai nonni.
Il padre dei committenti è mancato qualche anno fa. Come ogni buon Carnico – soprattutto se emigrante – destinava le ferie estive ai lavori della casa “al paese”. La speranza di poter un giorno tornare e liberarsi dalla condizione di emigrante, ha fatto sì che la casa fosse oggetto di un susseguirsi di piccoli cantieri scaglionati nel tempo con una continuità durata quasi cinquant’anni.

Foto: Alessandra Bello.

Al piccolo e modesto edificio originario si aggiunse un piano, poi un altro e poi un’ampia terrazza. Successivamente vennero portati dalla Svizzera gli arredi “moderni”, quelli che l’industria del mobile svedese sbandierava come unica alternativa a un più comodo vivere contemporaneo.
La facciata che prospetta sulla strada nazionale, dalla quale conserva comunque una certa distanza, si caratterizzava da un fronte alto con finestre regolari, piccole, testimoni di un sostanziale disinteresse per il paesaggio. Negli anni settanta, ammirare il paesaggio da un ambiente domestico era una prerogativa assolutamente ininfluente, soprattutto in montagna.

Foto: Alessandra Bello.

La facciata era “tagliata”, a un terzo della propria altezza, da una lunga terrazza che nessuno usava: neppure dove si ampliava era utilizzata per usi diversi da far asciugare le lenzuola. L’interno dell’abitazione era caratterizzato da una distribuzione abbastanza consueta: al piano terra un corridoio con scala che conduceva al primo piano dove le stanze si aprivano sul corridoio di piano. Una serie di piccoli ambienti sempre chiusi, per quell’economia domestica che i carnici hanno imparato vivendo nelle case delle loro famiglie dove con lo spolert – la cucina economica a legna – si scaldava solo la cucina. Quest’ultima era la stanza dove la famiglia trascorreva la maggior parte del tempo. Le restanti stanze, ovvero le camere da letto, erano sempre fredde perché per dormire non serve il riscaldamento.

Piante, prima e dopo l’intervento.

La soffitta era lo spazio dentro il quale riporre cose che, forse un giorno, si pensava potessero tornar utili. Mancato il padre, i figli convinsero la madre che sarebbe stato bello realizzare, nell’austera casa, un piccolo spazio per lo svago. Venne identificato un piccolo edificio addossato sul prospetto opposto a quello principale, sicuramente costruito per tenerci gli animali. Questo nuovo ambiente (qui) sarebbe stato dedicato per trascorrere momenti di svago durante le ferie dedicate alla visita all’anziana madre. Con la sua approvazione, seppur restia a ogni cambiamento in memoria del marito, si diede avvio al cantiere che durò quasi due anni.

Foto: Alessandra Bello.

Dopo questo episodio progettuale e subito dopo la morte della madre che aveva posto un veto sulla trasformazione della casa, i figli chiesero di rendere l’edificio energeticamente più sostenibile e di poter ricavare due appartamenti distinti con il riutilizzo del sottotetto.
Il primo problema è stato quello di rilevare tutti i vari interventi succedutisi negli anni, eseguiti in maniera poco corretta e con grande approssimazione.
Considerato il fatto che la Carnia ricade in un’area sismica di rilevante importanza è stato necessario apportare interventi mirati di adeguamento sismico, ricorrendo anche alla realizzazione di una rete di rinforzo e lastra armata.

Foto: Alessandra Bello.

La trasformazione della pianta è avvenuta ripensando a come funzionavano le case di montagna, dove un’unità edilizia poteva essere condivisa anche da più di una famiglia derivante, ovviamente, da uno stesso ceppo familiare. In tale contesto il senso di comunità, nel bene e nel male, era rafforzato dalla possibilità di condividere alcuni spazi propri della socialità. La cucina, gli spazi di deposito degli alimenti, la stalla degli animali (il più delle volte annessa alla casa) erano spazi dove potersi muovere liberamente grazie a una civilissima convivenza e un segno tangibile di appartenenza alla famiglia. Solo le camere erano gli spazi veramente privati.

Foto: Alessandra Bello.

Ecco allora che il modello per la trasformazione della casa è stato realizzato assumendo come regola la condivisione di taluni spazi, come succedeva in passato, così da apportare alla pianta piccolissime variazioni in relazione alle necessità di ognuno.
La separazione delle proprietà nel progetto avviene in modo labile. Il disegno delle porte (e i materiali con i quali sono realizzate, legno o vetro) rende immediatamente comprensibile dove a tutti è possibile accedere, a prescindere dalla proprietà.

Foto: Alessandra Bello.

Le porte di vetro che illuminano il vano scala, ora privo di finestre, definiscono la condizione per il libero passaggio da un ambito pubblico a uno privato. Dove la porta presenta specchiature di legno è segno che lo spazio è privato, non accessibile se non con permesso. Il vano scala non è più solo elemento connettivo ma diventa così la soglia tra gli spazi “pubblici” – la sala giochi del piano terra, la zona giorno del primo piano, lo spazio della sauna, la seconda zona giorno al terzo piano – e quelli privati delle camere da letto.

Foto: Alessandra Bello.

La facciata principale presenta due grandi aperture che inquadrano il bellissimo paesaggio montano antistante la casa. Sono stati eliminati gli scuri delle finestre così da presentare i prospetti con aperture molto profonde e un piano architettonico più astratto.

Foto: Alessandra Bello.

La facciata principale si divide in tre parti: il basamento definito dal limite inferiore della lunga terrazza, una parte intermedia caratterizzata dalle aperture delle camere e delle zone giorno, l’attico dove un motivo decorativo in legno – dipinto del colore del tetto e disegnato con il ritmo delle finestre sottostanti – “ordina” le due piccole finestre dell’attico rispetto le sottostanti conferendo un gradevole senso di ordine.

Foto: Alessandra Bello.